E’ arrivata a casa una sera d’autunno, l’ho vista a fianco dell’oleandro nel viale del giardino, difronte alla saracinesca verde del garage. Ricordo lo scafo dalla vernice scrostata, i punti neri dei chiodi, la tela della coperta arricciata e scollata. L’albero a terra con la vernice che si sfogliava. Ero piccolo e questa era una cosa da grandi. Nino, Luciano, mio padre, ne parlavano come un fatto importante, che chissà se poteva realizzarsi. Per chi non conosce la barca, ho messo alcune foto nella pagina “quattro chiacchere…..” sono tornate in Versilia”…. Lunga 5,50mt, baglio di 2mt, deriva in ferro a mezzaluna, peso 300kg, vela 20mq. Sono gli anni 60, queste barche rappresentano ancora un lusso fuori dal comune, per la classe sociale a cui appartengo. La capacità di mio padre nel rimetterla a nuovo è indiscussa ma il dopo è tutto un interrogativo, è di questo che loro stanno discutendo. La sera, oltre la serranda, la U inizia rinascere. Deve essere pronta prima della bella stagione: il garage serve alla famiglia quando si ritira per affittare la casa ai villeggianti. Con mio padre non esistono racconti e spiegazioni amorose di cosa c’è da fare e come sarà, per capire bisogna guardarlo lavorare. Calzoni corti, maglione, alla luce delle lampadine appese ai fili elettrici, lo osservo, nella sua tuta blu da lavoro. Rimossa la tela, le magange dell’umido, così spiegava agli altri che venivano a trovarlo. Il ponte rimosso, tante piccole costole restano nell’aria rivolte verso l’alto trattenute solo dalle serrette. Qualche volta aiuto: tenendo il contrappeso, quando c’era da tirare i chiodi e lui era solo, ma la maggior parte delle vote mi saltava di mano. Allora si cambiava lavoro. La cosa che ricordo con maggior forza era la raschiatura dello scafo, a cui partecipavo anch’io. Con leggerezza…. Sempre con il ferro piano, se no si formano le righe, e poi sempre quei chiodi che sporgono da tirare, su cui si arresta il ferro. Trucioli e sapore di legno che mi portavo dietro e che allora non sapevo spiegare ai compagni di scuola. Poi la vernice trasparente che prendeva alla gola e faceva specchiare come un vetro, e dietro il legno tornato nuovo, e le teste dei chiodi color rame. Infine la tela sopra la coperta, l’olio per tenderla, per impermiabilizzarla assieme alla biacca. Quanti intoppi, quanti giri da amici e conoscenti ha fatto mio padre: alla ricerca di quello che serviva. Vedere l’albero montato, più alto dell’oleandro, le manovre: come i tiranti dei carri di carnevale: è stato lo svelarsi di un mondo che ancora adesso mi affascina. Poi l’estate e il bagno Nettuno……….e la barca và.!!
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