Nei mesi che precedono la Barcolana perdo ogni inibizione e inizio a propormi in modo spudorato ad ogni amico, parente, conoscente, persino a quelli a cui sto sugli zebedei (e sono tanti) per trovare un imbarco. È una droga, dopo la prima, specialmente quando la fai al timone, non si può più farne a meno, anche quando non ho trovato posto ci sono andato, passeggiare sulle rive è un'emozione indescrivibile, la sera infilarsi nei vicoli di Trieste ha un fascino unico.
Quest'anno la fortuna mi arride, trovo imbarco quasi subito, anzi ne trovo più di uno tanto che nei giorni seguenti devo declinare ben due inviti e tutti da amici (di cui uno nuovissimo e molto apprezzato) e mi dispiaccio molto, vorrei essere su tutte e tre, la prima perché è una carrellabile, la seconda perché è un impegno sociale che condivido, la terza perché un amico di ormai lunghissima data con cui ho condiviso molte avventure, alcune veramente toste.
Alla fine la decisione è di supportare l'attività sociale, mi imbarco con sea shepherd. No non è vero, all'ultimo mi si propone, di fatto chiede, di salire su Dagobah, Arpege classe 1970, sono in due e la strada da fare è tanta. Rinuncio quindi all'albergo, alla doccia, alle cene pagate (anche se vegane
) e venerdì alle 18 mi trovo alla Bovisa per partire.
Viaggio liscio e tranquillo, arriviamo ad Aprilia alle 23,30 dopo una chiacchierata infinita, con Cristiano non ci vedevamo da un anno e c'era molto da "aggiornare" e Mario, istruttore Orza è un ottima compagnia pieno di ottimi consigli spesso espressi solo visivamente. Saliamo in barca caricando il solito quintale di cambusa a cui si aggiungono le attrezzature tecniche personali necessarie per navigazioni impegnative, abbiamo infatti deciso di uscire in notturna e le 5 miglia di canali oltre alle 30 miglia che ci separano da Trieste non sono da prendere alla leggera. Per fortuna la marea è alta, ma non al picco così se dovessimo arenarci sarà più facile liberarsi. Verifica luci, gasolio, acqua, indossiamo le cerate, salvagenti, predisponiamo i fari e le torce personali, un minimo di cambusa di pronto uso e usciamo.
Il porto è illuminato e i primi minuti passano rilassati, ma appena usciti dall'imboccatura, che poi tale non è essendo un una laguna, il buio ci avvolge, è nuvoloso e la luna non si vede quasi, le prime due briccole sono invisibili, Mario va a prua con il faro e scrutanto l'oscurità le trova. Avanziamo a 2 nodi, con il motore poco sopra il minimo per contrastare la corrente contraria, il canale è largo una cinquantina di metri, ma al buio le briccole sembrano vicinissime. Mentre Cristiano timona scendo e accendo il Navionics per verificare e ancora una volta mi stupisco della precisione con cui ci indica dove siamo, perfino la posizione delle briccole è quasi perfetta.
Vedi traccia
NavionicsMentre usciamo c'è tensione e cominicamo a pensare se proseguire o ancorarsi appena fuori per dormire. La navigazione di porterebbe a Trieste prima dell'alba, mentre fermandoci e ripartendo all'alba sarebbe più facile. La previsione però suppone vento da NO la notte e piatta la mattina, quindi si prosegue.
È l'una passata quando giungiamo al primo waypoint al largo e, come deciso scendo per il primo turno nanna, se dovesse arrivare il vento mi svegliaranno per issare le vele. Mario si dispone di guardia e Cristiano in "attesa".
Alle 4, con Trieste in vista facciamo la prima rotazione, così passo al timone mentre Cristiano va a dormire.
L'atterraggio a Trieste non presenta grandi difficoltà se hai 3 GPS da consultare, l'unica cosa è evitare le boe di segnalazione e le navi all'ormeggio. Soprattutto le prime perché talvolta sono spente o invisibili sullo sfondo della città.
Procediamo a motore a 3/4 nodi, perché alla fine il vento è arrivato, ma sul naso.
Siamo a 4/5 miglia, Trieste è per me facilmente riconoscibile, Miramare, il faro ovviamente, le luci del porto commerciale, in mezzo i le luci rossa e verde curiosamente invertite nella percezione di chi arriva, indicano infatti non il passaggio ma a lunga diga foranea. Mi dispongo con la barra sul coggige per avere la massima visibilità e atterro con sicurezza entrando proprio davanti a Molo Audace, abbiamo infatti deciso di tentare l'ormeggio nella parte più incasinata sfruttando l'arrivo notturno un po' piratesco.
Approcciando il molo facciamo qualche giro per verificare tutti gli ormeggi e attendere un minimo di luce per non fare danni vista la stanchezza. Approcciamo al lato nord ad una barca di pari dimensioni, "solo" in terza andana, nemmeno siamo affiancati che ne esce un gentil signore che ci spiega che quello è l'ormeggio per le barche che si muovono. Noi, novellini, vi crediamo e ci spostiamo oltre; ovviamente la mattina in quel punto ci sono 9 barche accostate e noi saremmo stati in posizione invidiabile. Va beh. Troviamo un altro "buon" posto e ci affianchiamo, cime alla vicina, parabordi e a nanna di corsa.
Sono le 10, dopo 3 ore, quando un insistente battere sulla tuga ci desta. Pare che si sia troppo piccoli per quella fila, dobbiamo spostarci sulla quarta, l'omino in casacca arancione e il gommone ci scortano fino al posto dove ci affianchiamo ad un "one-off" in legno con linee da regata veloce anni '80 e 2 sloveni a bordo che ci aiutano ad ormeggiare. Devo dire che l'arpege mi ha stupito per come sia neutro nelle manovre, non facile ovviamente per lo skeg, ma non impossibile. Ormeggiati mi dispongo per tornare a dormire, ma lo sloveno mi blocca con una bottiglia di grappa in mano e mi costringe a bere, fingo ovviamente, e lui contento parte a raccontarmi della sua barca, mi obbliga a salire a vedere gli interni i mogano, mi mostra orgoglioso il frigorifero da abitazione ricolmo di alcolici spiegandomi come l'anno precedente non sia riuscito a partire perché troppo ubriaco e come questa volta non voglia ripetere lo stesso errore, la faccia e la birra che si apre mi dicono che non ci riuscirà.
Il sonno è andato, c'è da andare ad iscrivere la barca, scendiamo e ci incamminiamo fra gli stand prima e in piazza poi per curiosare in giro. Caffé, bagno, stazione, pulman, Barcola dove ritiriamo iscrizioni e numeri velici. Il ritorno è più avventuroso perché sbagliamo pulman e ci ritroviamo sulle colline. I 3 km a piedi del ritorno non hanno reso felice il mio piede, anche perché siamo appesantiti dalla tonnellata di gadget, ma per il resto la seconda visita alla città è stata molto interessante. Alle 2 siamo di nuovo in barca, i vicini ormai prossimi al coma etilico aiutati da qualche decina di loro amici che si alternano in pozzetto, pranziamo con una focaccia fantastica e poi ci dedichiamo alla pennica.
In realtà loro vanno a dormire, io mi dedico alle pubbliche relazioni, da FB, che da le posizioni di prossimità, apprendo che molti conoscenti sono in varia andana attorno a me così scendo a fare due passi e quattro chiacchiere è di fatto sera quando torno a bordo. Pochi minuti e arriva un'altra telefonata, un incontro atteso forse più degli altri, vuoi per il "pacco" vuoi perché sono i carrellatori quelli con cui parlo più volentieri. Alle 7 siamo seduti davanti ad una bevanda, inutile se non per creare la scusa per fare un'ora e più di chiacchiere su barche, conoscenze comuni, storie tese da forum e catamarani.
Grazie a questo mi perdo i "soci" che se ne vanno senza riuscire a telefonarmi, grazie perché posso salutare il nuovo amico e dedicarmi da solo alla visita degli stand con la calma che questa operazione necessità.
Finisco, tirato dalla curiosità, allo stand del Maxus, al solito l'unica barca veramente interessante
Non c'è molta gente e mi avvicino con fare curioso, raccolgo un volantino e lo consulto attendendo l'inevitabile approccio, Luca lo conosco, sempre virtualmente, ma lui non sa chi sono e posso così iniziare le domande prima generali sulle carrellabile e poi più tecniche fino a che, quando si va veramente a fondo, l'occhio già dubbioso mi riconosce.
Mi è un po' spiaciuto, ma così riesco ad avere un'impressione più realistica e in questo caso migliore sia su di lui sia sulla barca, banalmente perché non tenta di "vendermi" come tutti fanno subito il modello più grande. "Fastidio" che ho spesso riscontrato in molti che usano le entry level solo come attrattiva. Il Maxus 22 è una bella barca, non dissimile nelle forme alle altre "polacchine", forse un po' più rifinita e personalizzabile, il costo superiore, ma non di molto, le spiegazioni, anche tecniche, sicure ed oneste (per questo non mi "qualifico", per "scoprire" le fandonie). Ne sono favorevolmente impressionato, mi manca solo di salirci, la mia gambetta mi ha sconsigliato il salto dal pontile di Trieste, ma un cortese invito a Caldonazzo nei prossimi mesi colmerà questa lacuna.
Dimenticavo, mentre si chiacchiera orma del più e del meno arriva un nuovo potenziale cliente e io vengo lasciato momentaneamente, giustamente, in disparte. Non fosse che il cliente è una firma conosciata sul forum
Nemmeno il tempo di salutarlo che mi viene presentato con una certa enfasi un altro curioso sopraggiunto, tale Maurizio Vettorato, minista con una transat all'attivo; anche qui con sorpresa visto che sono stato suo consulente per la comunicazione proprio per quella transat. "Ma conosci tutti" è quello che leggo negli occhi.
Maurizio è li per prendere visione di un'altra polacca, esposta, per non disturbare oltre saluto ed inizio il ritorno verso la barca, sono le 8 e mi aspettano per cena. Nota: non mangiare fagioli con le cotiche in un Arpege se poi si intende anche dormirci.
Continua.....