Paddy ha scritto:
Su questo concordo, il motore di wayra più che sottodimensionato è messo male.
Fondamentale il pescaggio, come si è accorto Franco sulla sua, ma anche la capacità di spinta soprattutto su un Cat, come nota Margutte nel suo libro, che ha meno manovrabilità bisognerebbe pensare a due motori fra loro collegati.
Nel caso specifico però non so quale differenza avrebbe fatto a meno di non essere pronti e con il motore acceso
Il motore era acceso.
Ero uscito fuori in coperta sentendo rumori sospetti e preoccupanti. La barca in quel momento era ruotata di 180 gradi, rispetto all'ancoraggio del pomeriggio. La poppa era verso terra, verso sud, diciamo, e verso scogli affioranti. Alla mia sinistra una barca a motore, anch'essa all'ancora, ma deserta, era già scarrocciata ancora di più e con la poppa praticamente a terra.
Allora ho acceso il motore. Il rumore della pioggia e dei tuoni era tale che non riuscivo a capire se era andato in moto. Poi ho messo la marcia e mi sono allontanato da terra. Ero convinto che l'ancora avesse arato di un 20-30 metri ma tenesse. Il vento è girato di colpo di 90 gradi, e veniva adesso da est, allontanando la poppa dagli scogli, ma era fortissimo ed in un attimo si è alzata l'onda.
Ero fradicio e intirizzito ma pensavo di avere tempo, la poppa rivolta verso ovest, e da quella parte la terra era lontana. Ed era la spiaggia, non sapevo nulla del molo. Credevo di stare tirando sull' àncora, anzi di certo stavo tirando sull'àncora.
Sono sceso in cabina per cambiare la maglietta e mettere la cerata. Ho rifiatato un attimo. Quanto? Non so. Non molto. Un minuto, due.
Poi di colpo mi sono trovato con il fianco sinistro sugli scogli. La barca sbatteva. Non ho nemmeno provato ad allontanarmi a motore. La visibilità era nulla, i lampi erano continui, anche più di uno al secondo, riporta un sito meteo. Ero confuso e sotto choc.
C'era acqua nello scafo di dritta, ma ancora oggi non ricordo di aver sbattuto da quella parte. Ho spento il motore per timore di rompere l'elica sugli scogli. Non l'ho tirato su, ma quando poi è arrivato margutte invece il motore era sollevato, di certo aveva sbattuto e si era alzato. Ero convinto che fosse rotto. Ero completamente assente, pensavo che ormai non potevo fare nulla per Wayra, solo aspettare che finisse.
Ho messo il portafogli ed uno dei due telefoni nella sacca impermeabile, (l'altro mi è scivolato nell'acqua) ed ho preso anche una felpa, un paio di pantaloncini asciutti, le scarpe e la cerata e sono sceso a terra. Dallo scafo di sinistra sono sceso direttamente sui massi di protezione di un molo in cemento, non mi sono nemmeno accorto che dietro, a ridosso, c'erano delle barche. E c'era anche un po' di posto.
Alle 4 meno un quarto ho acceso il gps del telefono; ero convinto di essere stato scaraventato sulla costa nord della baia, cioè dal lato opposto, ma invece no. Ho chiamato Margutte, non sapevo a che distanza fossi, ma ho provato a dire "segui la costa con il mare verso destra".
Poi mi ero messo la roba asciutta, e aveva smesso di piovere. Margutte ed il suo amico Jodi sono arrivati in un attimo. Si sono gettati in acqua per provare ad allontanare lo scafo dagli scogli. Non li aiutavo, gridavo solo di lasciar perdere e di non farsi male. Sono venuti altri due scrosci violenti, brevi. Poi il vento è scomparso. Mi ero ripreso un poco, mi sono gettato in acqua anche io, vestito, ed ho aiutato i loro sforzi. L'acqua era calda, quasi confortevole. Alla fine siamo riusciti, più grazie a loro che per me, a scapolare dietro il molo. Non c'era più vento.
Credo che sia stato allora quando mi sono accorto che l'ancora e la catena non c'erano più. Prima ero certo di essermela tirata dietro e che fossero da qualche parte sotto la barca. Invece non c'erano più. Abbiamo legato la barca al molo, passando sopra altre due barche ormeggiate. La scotta di randa, tutta filata, si era impigliata nel timone di una delle due, e ci ostacolava. Era ancora buio.
Ho preso spugna e secchio, ho acceso la luce in cabina ed ho provato ad asciugare l'acqua nello scafo. Cinque secchiate, le ho contate, ed era quasi asciutto. Poi ho visto la crepa nello scafo, sul fondo, un metro avanti alla deriva. Era piccola, dieci centimetri, e i labbri quasi chiusi del tutto. Sfondato da sotto, dal basso verso l'alto.
Siamo andati a casa ad asciugarci, ormai schiariva. Margutte aveva le gambe graffiate e zoppicava. Anche Jodi era contuso. Io ero gonfio di adrenalina ma come assente, disfatto, e non riuscivo a ricordare la successione dei fatti. Non ho dormito nulla, alle 6 ho scritto a mia moglie, al lavoro, una mail che cominciava così: "sono incolume e non ho perso le mie cose..." Poi sono sceso a piedi fino alla barca, a recuperare alcune cose; quasi speravo di trovarla sommersa, la odiavo con tutte le mie forze. L'acqua nello scafo era risalita come prima, ma non di più, era stazionaria.
E' stato dopo, nelle prime due notti seguenti ed agitate, che un po' alla volta ho messo ordine nella successione degli avvenimenti.
Che brutti momenti.