Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
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 Oggetto del messaggio: aneddoto velocce
MessaggioInviato: 03/05/2011, 8:37 
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Iscritto il: 16/02/2010, 14:13
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Siamo alle isole Strofadi, più precisamente all'isola delle Arpie. Non è difficile indovinare il perché del nome: scogli affioranti ovunque, poca protezione dagli elementi, un micro ancoraggio e un monastero che spettrale, occhieggia nell'altra isola, qui di fronte. Saranno le otto di sera e sono solo in barca, il comandante è ancora a pesca, ma ormai è quasi buio. Mi fa incazzare quando fa così e quando torna lo mazzio. Siamo partiti ieri l'altro pomeriggio da Kiparissia, carino villaggetto discosto, lontano dal turismo e ancora vivace di identità propria. Abbiamo fatto provviste, comprato due aggegi in ferramenta poi il comandante aveva bisogno di collegarsi in internet, così ho gironzolato a curiosare tra il mercato e la piazza. Nel primissimo pomeriggio, sembrava che l'aria si muovesse e ci permettesse di fare rotta sulle Strofadi, dove vogliamo dedicarci a qualche giorno di pesca. Il posto sembrerebbe ideale e idilliaco. Isolotte disabitate perse nell'Egeo. Abbiamo mollato gli ormeggi, ma dopo neppure un paio di miglia, il vento si è rivelato una debole brezza di terra, che ci ha mollato in un mare fastidioso, nell'afa pomeridiana, caliginosa e senza aria. Il coma, si è messo a bruciacchiare i fili dei pannelli del fiocco 2 e io a soffocare in pozzetto. La costa del Peloponneso si confonde nel latte dell'afa pomeridiana e un'onda maleducata e inutile sbatacchia noi e la randa. Così ho deciso di fare il bagno. Mi piace nuotare in mare aperto. Mi piace mettere la testa sott'acqua e scendere un metro sotto il pelo, così, nudo e crudo. E' come se sparissi da questo pianeta. Come se lasciassi tutto ciò che mi appartiene e che mi è umano in superficie e io mi perdessi nell'orbita celeste dell'acqua, sciogliendomi nel mare. E' la stessa sensazione che provo quando volo. Quando stacco i piedi da terra penso, ecco: non appartengo più al pianeta terra, se ci fosse una qualche sorte di rivelatore terreste, non percepirebbe più il peso del mio corpo. Ho abbandonato la superficie terreste e ora appartengo allo spazio. Mi piace volare scalzo, allargare le dita dei piedi e sentire l'aria sottile che sfiora e passa tra l'alluce e il mignolino. Mi piace guardare il mondo attraverso le dita aperte dei miei piedi.
Mentre penso queste cose, schiaffeggiato da qualche onda più dispettosa, Giuseppe, anche lui nudo come un verme, seduto sulla prua bruciacchia i fili del pannello del fiocco. Poi calmo, serafico, senza alzare mai lo sguardo dal suo lavoro, mi fa
-sai, io non faccio mai il bagno in mare aperto.
Perché? E' la cosa più bella del mondo e rifaccio a lui lo stesso discorso che qui ho riportato, però la sua affermazione mi ha messo ansia. C'è un personaggio di Melville che mi ha sempre acceso curiosità e fascinazione. Durante la battuta di pesca al leviatano, il ragazzo cade in mare dalla lancia trascinata a folle corsa dal mostro. Resterà in acqua un paio d'ore prima di essere ripescato dai compagni, ma quei minuti passati da solo a contatto con l'oceano lo rendono pazzo per sempre e lo stesso terribile Hakab teme il ragazzo e la sua follia, specchio della follia di tutti gli uomini in cui Hakab vede la sua anima. Il contatto con l'infinito, con l'imponderabile, con l'immenso, con le dimensioni estreme ha sempre attratto l'uomo, proprio perché ci si trova a guardare d'un tratto nella mente del dio creatore. E' questo che fa paura, disorienta e attrae. Gli stessi uomini che amano il mare, coltivano la passione per la montagna o si gingillano con l'idea del cielo. E' la visione dell'infinito. Non c'è nessun altra ragione che spinge un uomo a scalare una montagna o a solcare il cielo. Quello che trovi sulla vetta o nel ventre del mare non è altro che questo.
Mentre spiego queste idee a Giuseppe lui mi racconta una storia. Durante la traversata da Malta a Milos, in una delle molte bonacce che ha incontrato, si tuffa per rinfrescarsi e si fa una nuotata nel blu immenso attorno a Maruzza, immobile in mezzo al Mediterraneo. Non appena salito a bordo, si asciuga e come nei film, la pinna caudale di un pescecane di 3-4 metri di fa un giro attorno a Maruzza, immobile nel Meditteraneo, proprio come Giuseppe qualche minuto prima.
-Lo dici per farmi paura.
Giuseppe ferma la mano che rattoppa il fiocco, e per la prima volta alza gli occhi dal suo lavoro e mi guarda.
-ti giuro che è la verità.
Giuseppe non racconta balle.
Vabbè penso ma mica succederà sempre. Contemporaneamente a questo mio pensiero un'onda alle mie spalle frange su se stessa, provocando un rumore diverso e mi butta addosso, sulle spalle, un'alga o qualcos'altro. Mi trovo seduto a gocciolare vicino a Giuseppe che mi guarda sorridendo. Non ricordo di aver toccato la scaletta per salire a bordo.
La randa cambia da sola bordo e un alito di vento muove l'aria. Giuseppe mette via il fiocco e alza la testa.
-si va.

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 Oggetto del messaggio: Re: aneddoto velocce
MessaggioInviato: 03/05/2011, 18:05 
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Iscritto il: 15/11/2009, 15:44
Messaggi: 2843
margutte ha scritto:

Il contatto con l'infinito, con l'imponderabile, con l'immenso, con le dimensioni estreme ha sempre attratto l'uomo, proprio perché ci si trova a guardare d'un tratto nella mente del dio creatore. E' questo che fa paura, disorienta e attrae. Gli stessi uomini che amano il mare, coltivano la passione per la montagna o si gingillano con l'idea del cielo. E' la visione dell'infinito. Non c'è nessun altra ragione che spinge un uomo a scalare una montagna o a solcare il cielo. Quello che trovi sulla vetta o nel ventre del mare non è altro che questo.

-si va.



Fantastico. Provo esattamente lo stesso fascino di fronte alle montagne selvagge o ad un mare deserto di barche. Provo le stesse identiche sensazioni nell'arrivare a sera ad un bivacco remoto, tra le pietraie infinite, oppure in una caletta isolata, tra le pinete ed i cipressi.

Bravo Marg, racconta ancora, ci sei mancato


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 Oggetto del messaggio: Re: aneddoto velocce
MessaggioInviato: 03/05/2011, 18:18 
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