Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
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 Oggetto del messaggio: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 05/04/2011, 19:09 
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considerando che le zingarate latitano, in attesa di trascrivere l'altra fetta di diario, ho trovato questo in una cartella dimenticata del computer. Come al solito fatene ciò che volete

L'idea di un blog è nata quando un mio amico mi disse: ogni coglione ha un blog. Io non sapevo neppure cosa fosse un blog, ma l'idea che tutti avessero qualcosa che io neppure sapevo cosa fosse mi faceva impazzire. Allora mi sono informato, ho capito cosa fosse un blog e la cosa mi ha fatto impazzire. L'idea di avere un blog mi piace da pazzi. Ci posso mettere dentro idee, foto, racconti, filmati. Un sacco di roba. E tutti possono leggere e vedere ciò che ci metto dentro. Ecco che allora questa mattina, è il 17 febbraio 20010, Maya ed io siamo seduti allo stesso tavolo e scriviamo i testi per il nostro blog. E' un diario, ho spiegato a Maya, in cui possiamo raccontare quello che vogliamo, inserire foto, testi, filmati, solo che poi lo mettiamo in internet.
Maya ha otto anni ed è estremamente lucida, oltre che molto bella, cosa di cui si rende conto e che tiene a far pesare. Non che è molto lucida, che è molto bella. Quindi mi pone la prima domanda base della mattinata: cos'è internet?
- Beh internet è una rete a cui tutti possono accedere e in cui si può trovare un sacco di informazioni.
- una rete come quella dei pesci?
ho già sottolineato come Maya sia molto lucida
- no, non come quella dei pesci
- allora come quella per prendere le galline
ho già sottolineato come Maya sia molto lucida ma anche bionda.
- no, non come quella delle galline.
La conversazione è caduta lì, quando Maya ha scoperto che in internet ci sono i giuochi, poi abbiamo cominciato a scrivere il nostro blog e qui Maya ha posto la seconda domanda:
- ma perché dobbiamo mettere il nostro diario in un blog, in una rete, dove tutti possono leggere i fatti nostri?
Maya, oltre che essere molto lucida, molto bella e bionda ha anche otto anni e non ho potuto risponderle che tutti i coglioni ormai hanno un blog. Ho lasciato cadere la conversazione e ora andiamo avanti scrivendo il nostro blog.

Protagonisti:

Maya: bellissima bambina di otto anni, con passaporto croato ma identità italiana. E' nata in Italia, parla solo italiano, frequenta scuole italiane adora le lasagne. Ci sarebbe un lungo discorso da fare sulle leggi italiane a proposito della cittadinanza, ma non mi sembra né il momento né il luogo. Ho già detto che è bellissima?

Violanda: Bellissima mamma di Maya, con passaporto croato e modi di fare decisamente balcanici. Non sa nuotare, ma viene sempre in barca e al mare con noi. Non sa sciare e odia il freddo, ma vive in Alpago. Le piaceva volare con me fino a quando mi sono schiantato un paio di anni fa. Da allora non ne vuole più sapere, adducendo come scusa il fatto che le è passata la passione per il parapendio. Mah?

Banban: di sesso incerto, attualmente alberga in pianta stabile nella pancia di Violanda. Di lui/lei possiamo dire molto poco, se non che fa vomitare sua madre ogni mattina

Infine io, coautore insieme a Maya del blog. Passaporto italiano, ma mi piace definirmi cosmopolita e giramondo. Per necessità sono un insegnante flessibile di scuola superiore, ma per vocazione marinaio.

Ora andiamo a descrivere i protagonisti che ci scorazzano in giro per il mondo, a partire da Cigan, furgone VW adattato a camper.
Lo usiamo sia come macchina per tutti i giorni, sia come camper. Spartano certo, però non ci manca nulla. E' attrezzato con una piccola cucina da campeggio e una tenda da tetto. Maya ha la sua camera privata dietro i sedili e Violanda ed io la nostra mansarda. Se il vento o la "privacy" lo impone dormiamo tutti e tre all'interno. Sul portellone posteriore un portabici modificato permette di sistemare tutta la montagna di roba che ci portiamo dietro per usare la Waka.
Cos'è la Waka?
La Waka è la nostra canoa a vela, croce e delizia delle nostre ferie e della nostra passione nautica. Già perché la Waka siamo andati a prendercela in Sardegna, e solo questo meriterebbe un blog a parte, dopo quasi un anno di tentennamenti e indecisioni. Dopo di che ci è costata ore ed ore di lavoro per pitturarla, modificarla, migliorarla, adattarla alle nostre esigenze e da operai inesperti quali siamo, ci è costata anche una serie di errori, ma alla fine, la Waka era pronta. Si poteva pagaiare, si poteva veleggiare, si poteva caricare sul furgone e portare ovunque si volesse. Si trasformava in trimarano e rendeva impossibile il ribaltamento, cosa che rendeva felice Violanda. Dopo vari esperimenti al lago e dopo aver rotto e sostituito tutto ciò che si poteva, la Waka ha avuto il battesimo ufficiale di acqua salata a Jesolo, dove ci ha traghettato entusiasti fino a punta sabbioni. Non mi pareva vero. E' anche vero che poi a Krk abbiamo avuto un paio di disavventure (disalberamento), ma insomma per luglio era pronta al grande viaggio.
Infine Tomtom, la nostra creatura. Tomtom è un progetto Wharram, un Tiki 26 per l'esattezza.
E' decisamente il mio sogno, imposto a Violanda che ne è diventata l'armatrice, mentre io ne sono il comandante e Maya ne è la nostroma. Per ora in realtà il Tiki ci sta facendo impazzire perché a causa del ghiaccio di questo inverno, Tomtom è ormeggiato su un prato vicino a casa nostra, la vernice della coperta si è alzata e si è staccata. Manca ancora l'impianto elettrico, il supporto del motore e ci serve un carrello. Quello che conta però è che il Tiki ci porterà attraverso un altro viaggio. Perché non più la Waka? Beh fondamentalmete perché era un esperimento per vedere come sarebbe andata con il mare e abbiamo scoperto che sia a Maya che a Violanda è piaciuto. Perché cambiare allora. Perché abbiamo anche scoperto che una canoa esposta al vento e ai marosi è troppo per una bimba di otto anni, figuriamoci per un neonato. Così abbiamo preso una decisione seria per una barca seria. Una barca vera, da campeggio nautico è vero, ma in grado di attraversare gli oceani. In grado però di ospitarci nella sua pancia come Violanda ospita Banban.


Ed ora via.

Come già accennato i preparativi non sono stati semplici. Da più o meno 4 mesi lavoriamo su Waka e Cigan per preparali alla grande partenza. Inutile dire che da molto più programmiamo il viaggio, variando di continuo, data, meta e componenti, ma cerchiamo di non diventare prolissi. In breve siamo sulla nave, mitica Minoan che ci porterà in Grecia, dove da mesi ho monitorato, baie, baiette, anse, anfratti, spiagge campeggiabili attraverso Google hearth, racconti di viaggio, blog e notizie ricavate attraverso ogni fonte.
Al porto di Venezia, subiamo il primo smacco. La meravigliosa Minoan nave, cui da anni sono abituato, che trasforma il viaggio in crociera, quella nave che guardavo al porto di Venezia negli anni amari della SSIS, non c'è. Al suo posto un orribile surrogato blu, nemmeno parente del lusso della Minoan. Beh non sarà certo questo a rovinarci il viaggio, infatti, trovati degli ottimi posti dove campeggiare a bordo, occupiamo lo spazio disponibile a poppa e ci godiamo il passaggio di Venezia e poi tutto il lungo viaggio, attraverso il mare Adriatico, davanti alla bellissima costa albanese, che da sempre mi invita e che un giorno chissà, poi giù nello Ionio, dove l'acqua cambia colore e infine ad Igoumenitsa. Da sempre per me il viaggio in nave è già parte della vacanza e quindi rappresenta il primo assaggio di libertà. Questa volta è leggermente diverso perché con me per la prima volta ci sono Maya e Violanda che partecipano con me a questa crociera.
In breve siamo al porto e dirigiamo il furgone verso Preveza, prima tappa greca del viaggio. Dopo una breve sosta per il pranzo, e per il primo bagnetto greco, via verso la destinazione che da tempo studiamo sulla carta: Mytykas, un nome un programma. La cittadina è esattamente davanti ad una serie di isolette che da tempo studiamo sulle cartine. Tutte abbastanza piccole da rappresentare una meta interessante e tutte sufficientemente vicine da poter raggiungere con la Waka. Campeggiamo in riva al mare, lungo la lunga spiaggia del paese, che però è un po' una delusione sia per bellezza del paesaggio, che per limpidezza del mare. Ceniamo in una taverna con i piedi in acqua, ma né il cibo, né il servizio sono all'altezza dei miei ricordi di taverna greca. Il giorno dopo ciondoliamo un po'. E' un altro colpo al nostro meticoloso programma. E' la prima volta che programmo le vacanze e scopro che era meglio quando andavo a caso. Mytikas avrebbe dovuto rappresentare il nostro campo base, ma così non è proprio il caso. Girovaghiamo un po' nei dintorni e a Violanda vengono già le smanie, memore della scorsa estate, quando abbiamo attraversato la Dalmazia e mezza Europa dell'est per trovare un posto tranquillo dove fermarci, senza per altro riuscirci. Invece stavolta siamo fortunati. Mentre guido in direzione sud, verso Atokos, sbircio dall'alto di un tornante una spiaggia con accampamenti vari. Individuata la stradina che scende, andiamo a renderci conto di persona del luogo e finalmente troviamo ciò che cerchiamo.
E' una baia profondamente incassata, tanto che l'acqua sembra quasi uno stagno, calma e poco profonda fino al largo, quindi calda. Sulla spiaggia c'è un misto di accampamento zingaro semistabile all'ombra di pochi sparuti cespugli che arrivano fino all'acqua. Ognuno si fa gli affari suoi. I campeggiatori-zingari sembrano tutto tranne che turisti. Improvvisamente da una delle barche-camper ormeggiate si alza una musica orientaleggiante. Nessuno presta attenzione ai nuovi arrivati. Insomma è il posto che fa per noi. Beviamo un'amstel, mentre cerchiamo di interpretare il luogo, poi scelto il posto, il più lontano possibile dall'agglomerato zingaresco e il più vicino possibile all'acqua, apriamo con orgoglio la nostra tenda da tetto e scarichiamo la Waka in spiaggia. Passano pochi minuti e sono già ubriaco stravaccato sotto la tenda del furgone mentre Violanda cucina e Maya gioca con la sabbia poco distante. Abbiamo anche trovato un tavolino costruito sul bagnasiuga, all'ombra di un cespuglio. Insomma il paradiso. La sera percepisco rumori strani fuori dal furgone, ma non ci presto molta attenzione. Invece nel cuore della notte un gruppo di pescatori greci, con la tipica attenzione per le esigenze degli altri accende un gruppo elettrogeno a fianco del furgone per illuminare con una torcia elettrica il gommone sul quale devono uscire. Identica procedura al ritorno. Bastardi. Mi chiedo se anche per bersi la birra serva quel dannato gruppo elettrogeno acceso. Capita alle volte di incappare nella totale mancanza di attenzione del nostro vicino. Maleducazione o menefreghismo. Non l'ho mai capito. Il giorno dopo, la colazione in spiaggia e la toilette in mare dissipano ogni malumore. La tolilette del libero campeggiatore è una cosa che mi ha sempre messo di buon umore. Sembrerà un'idiozia, ma purificare l'intestino, lavarsi e prepararsi per la giornata, il tutto nudi come mamma ci ha fatto e all'aria aperta, mi dà una sensazione di liberta che nemmeno volare. Sono piccole cose, ma mi danno il senso della vacanza. Insomma, dopo colazione è finalmente ora di montare la Waka. come al solito tutti sono molto incuriositi da questi sacchi enormi da cui magicamente esce una barca a vela. Siamo pronti al varo. Aspettiamo che il pomeriggio sia un po' avanzato per meglio interpretare le condizioni meteo e ci buttiamo al largo ad esplorare la baia. La bolina non è proprio il suo forte, ciononostante girottiamo un po' per la baia. C'è il paese di Atokos a 5 miglia di distanza. Mi piacerebbe andarci a fare la spesa con la Waka, non solo per fare una gita, ma anche per non dover smontare il campo (10 min. d'orologio. Santa pigrizia vacanziera). Non mi fido però, perché le doti marine della Waka non sono proprio esaltanti e poi non vorrei dover tornare pagaiando, anche se 5 miglia le abbiamo già fatte altre volte.
Con questo dubbio torniamo in spiaggia e notiamo subito un camper mastodontico ormeggiato poco distante dal furgone e orrore, mentre spiaggiamo la Waka, quasi mi strangolo con la mia Amstel:
-Siete italiani?
Il camper, c'era da aspettarselo, è di una coppia di italiani. Ora intendiamoci, al contrario di Violanda, non ho nulla contro la terra che mi ha dato i natali, né tanto meno contro i miei compatrioti. Detesto però l'atteggiamento che molti miei conterranei hanno quando siamo in ferie e che mi fanno vergognare di appartenere al Bel paese, specie quando da un capo all'altro della spiaggia, o del paese fa uguale, si sente una mamma che con urla beluine richiama il bambino o il marito, fa uguale, alla merenda, pranzo, o vuol semplicemente far notare una curiosità indigena. La coppia in particolare appartiene alla specie di chi trovato un connazionale, sembra voler ricostruire un pezzo d'Italia all'estero, quindi, uniti fino alla morte. Scherzi a parte, i due pensionati itineranti sono davvero molto carini e gentili, anche se un po' invadenti e ci forniscono un sacco di informazioni sulla zona che loro frequentano da anni per diversi mesi all'anno. In più, con una generosità non comune, appreso che vogliamo raggiungere il paese via mare, ci prestano il loro gommoncino a motore per il giorno successivo, dopo solo un paio d'ore che ci conosciamo. Alla sera riusciamo a schivare l'invito a cena, la scusa della bambina che deve dormire è sempre indiscutibile
- verremo davvero volentieri, ma ci sacrifichiamo per amore della bimba.
Strepitosa Maya.
La notte, nonostante fossi ubriaco, d'altronde è il terzo giorno di vacanza, un rumore simile alla notte scorsa mi desta. No stavolta non sono pescatori incivili, bensì, sogno o son desto, maiali che grufolano in spiaggia. Decisamente maiali. Inconfondibili maiali. Il giorno dopo l'amabile coppia di camperisti ci spiega che sono esemplari scappati dalle fattorie vicine e che ormai hanno addottato lo stato selvatico e che condividono la spiaggia con i campeggiatori occasionali e con quelli semistabili dei paesi vicini, salvo finire saltuariamente a girare sullo spiedo di qualche festa di fine estate. Ecco perché i due hanno soprannominato la spiaggia, baia dei porci e così rimarrà anche per noi. Oggi è il grande giorno e ci avviamo con un piccolo 4 cv. verso Atoko e dopo un paio d'ore di paziente, ma rilassante navigazione ormeggiamo al molo della città, anonima e non particolarmente invitante se non per i ristorantini del lungomare, dove ci sfondiamo di pesce e moussaka. Riempito il gommoncino di viveri e preziosa Amstel, ci dirigiamo nuovamente verso la nostra spiaggia e mi godo la navigazione lenta, paziente, a motore sorseggiando birra. In vista della meta ci concediamo un bagno poi quasi ormai all'imbrunire casa, cioè furgone. Ancora una volta scansiamo la cena insieme con gli italians, e ancora una volta, la notte, la spiaggia si riempie di maiali che si riappropriano della loro spiaggia. Il giorno dopo è il grande giorno. Studiato la meteo del luogo, individuiamo una delle tante isole-scogli davanti alla baia dei porci, sopravento. Il pomeriggio, normalmente la brezza gira con il sole, per cui al ritorno il vento dovremmo averlo al lasco. Così infatti sarà. La spiaggia in realtà non è esattamente invitante. La baietta è esposta al mare e la spiaggia è ricettacolo di tutti i rottami del mare greco. Relitti, immondizie e soprattutto plastica, plastica, plastica. La plastica soffocherà il mondo. Facciamo buon viso a cattivo gioco e con i relitti costruiamo un tavolo per il pranzo. Recuperiamo tra la montagna di oggetti e immondizie rigurgitate dal mare, un pallone da volley e una piccola boa che diventerà in seguito il lampadario del nostro bagno. Anche il mare non è così limpido come mi aspettavo, reso torbido da uno dei molti allevamenti ittici della zona e sotto acqua i pesci sono molto pochi, però dalla spiaggia mi godo la vista della Waka ancorata in rada come un veliero pirata. Rimontiamo sulla Waka, ci mettiamo al lasco e ci godiamo la navigazione, stavolta a vela, fino alla nostra spiaggia. Finalmente. Da mesi aspetto questo momento e me lo godo fino in fondo. Violanda e Maya stravaccate a prendere il sole, la vela gonfia e la prua della Waka che solca il mare greco. Finalmente. L'ozio però non dura molto. L'entrata della baia dei porci, come sempre, offre una curiosa brezza di terra generata dalla conformazione orografica. L'entrata è di bolina e devo rimpiangere la vela da surf, steccata e allunata, distrutta dal vento sul tetto del furgone di ritorno da Jesolo, sostituita da questa, avvolgibile, più comoda, ma molto meno performante. Pace. Bordeggiamo da un capo all'altro della baia, arriviamo a zigzagare tra le barche-camper ormeggiate vicino alla spiaggia e alla fine, con l'ultimo bordo, arriviamo fino al bagnasciuga. Un capolavoro. Sono davvero orgoglioso della nostra barchetta e delle capacità nautiche dimostrate dall'equipaggio. Sono entusiasta e mi godo davvero il vino greco, sotto la tenda del furgone. Me lo godo per poco. Dal camper arriva la moglie camperista annoiata, perché il marito schiaccia il pisolino pomeridiano e lei è in cerca di compagnia. Panico. La invitiamo a sedersi e comincia una interminabile quanto noiosissima chiacchierata. Non resta che ubriacarsi per sopravvivere. Quando ormai ho quasi perso l'uso della parola, magicamente veniamo soccorsi da un altro camper colossale, di un'altra coppia di pensionati italiani, amici dei primi. Trainano un altrettanto colossale gommone e il pomeriggio è impegnato per il varo della nave. Io sono decisamente troppo brillo per partecipare all'impresa e per fortuna, quando alla sera il marito sonnacchioso, mi imbarca in una conversazione sull'intolleranza razziale, sui terroni fannulloni, senza ovviamente tralasciare gli extra che vengono a rubare il lavoro e a stuprare le nostre donne e imporci l'islam e così via, la mente è talmente annebbiata che mi permette solo di annuire con un sorriso ebete e pensare se il tipo ha afferato che Violanda non è propriamente di razza pura. In più, quando il tipo accenna alla "lingua" piemontese e scopro che in realtà lui è siciliano emigrato al nord la confusione è totale e non so più se dare la colpa alla birra al vino, al sole della giornata o ai vaneggiamenti del tipo. Crollo. La mattina dopo, con la mente ancora leggermente offuscata, ho la malaugurata idea di chiedere consiglio sull'itinerario alla nuova coppia di Italiani. Lui è davvero gentilissimo e mi intrattiene, per tre quarti d'ora d'orologio, senza notare che non solo la mia colazione è ormai fredda e preda delle mosche, ma mi sto contorcendo l'intestino, privato del consueto rituale mattutino della mia toilette en plein air. Davvero stavolta è troppo. D'accordo tutto, ma la cacca no. In più soggiorniamo alla baia dei porci già da qualche giorno e il nostro istinto zingaro ci dice che è ora di levare le tende. L'organizzatissima coppia-camperista è fornita di tutti i dettagli sul luogo, compreso l'orario dei traghetti. Ci rivelano in più un paio di informazioni preziose sull'isola di Itaca, pellegrinaggio obbligatorio per dei marinai come noi. Leviamo il campo e carichiamo la Waka sul furgo, prima che il sole sia alto e renda le veloci operazioni, un inferno. Salutiamo tutti e lasciamo la baia dei porci con direzione Atokos.

Questo sito è stato comunque ospitale e lo consiglieremmo per un eventuale passaggio. Non è certamente un idillio, però è ideale per bambini e liberi campeggiatori. Nessuno disturba e con un po' di fortuna si può anche trovare ombra. Il mare è chiuso, tranquillo e caldo, la spiaggia è sabbiosa, circondata da scogliere e cespugli che arrivano fino all'acqua. Ideale anche per Violanda, perché la sua profondità rimane limitata fino molto al largo. E' ideale anche come ridosso e la brezza diurna, curiosamente di terra, si riduce fino ad annullarsi alla sera. Naturalmente il pescaggio di un'eventuale barca deve essere molto limitato. Una sera abbiamo anche visto un gigantesco trimarano ancorarsi in questa tranquilla baia. La domenica la spiaggia si riempie più degli altri giorni, ma sono tutti frequentatori locali che alla sera tornano ai paesi. Nei dintorni ci è stato anche segnalato un pozzo, l'acqua del quale comunque non abbiamo mai usato. Nei dintorni sono possibili diverse escursioni verso piccole isole-scoglio oppure verso le isolotte abitate dei dintorni, un po' più distanti.

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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 05/04/2011, 19:12 
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se vi è piaciuto pubblico la seconda parte

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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 06/04/2011, 12:21 
La tua è una domanda retorica...vai pure con la seconda parte!


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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 08/04/2011, 20:52 
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seconda parte

Al porto di Atokos, scopriamo che non solo il traghetto per Itaca è pieno, ma costa un bel po' di più di quanto pensassimo. Urge un consiglio di guerra. Per prima cosa facciamo merenda, poi valutiamo le possibilità. Decidiamo di dirigere verso Lefkada, isola collegata alla terraferma grazie ad un ponte. La strada non è lunghissima e in pomeriggio, se siamo bravi, possiamo già trovare un altro posto per campeggiare. Allora via. Ripercorriamo al contrario la strada fatta qualche giorno prima. Sostiamo per una bibita ed una cacca volante in una taverna fantasma, poco prima del ponte girevole che collega l'isola al continente e poi, nel primo pomeriggio siamo nell'isola. A Lefkada, caotica cittadina capoluogo dell'isola ci procuriamo le cartine da una gentilissima signora in un box-info e cominciamo a scendere lungo la costa orientale, poco invitante. Ci fermiamo in un chiosco per comprare bottiglie di acqua congelata, che tengono freddo il nostro box frigo senza portare via inutile spazio. Questo stratagemma l'ho imparato in Grecia, dove l'acqua congelata è diffusa, al contrario che altrove dove se chiedi acqua congelata ti guardano come un alienato, non capisco perché non venga adottato anche altrove. Qui notiamo un cartello "Spili" (grotta) e Waterfall. Immagino l'acqua fresca e dolce corrermi lungo la schiena e lavare tutto il sale dalla pelle e dai capelli. Senza indugio in pochi minuti parcheggiamo il furgo nel parcheggio e ci avviamo a piedi lungo un sentierino che si inerpica lungo una stretta forra, su su, fino alle cascate, che non sono esattamente cascate alpine, imponenti né per altezza né per portata, ma comunque cascate. Il torrente che scende è pieno di piccole rane colorate, e anche nell'ultima vasca, dove facciamo il bagno, balzo indietro stupidamente spaventato, quando da un sasso una ranocchia salta via, proprio dove stavo appoggiando la mano. Di più io e Maya facciamo il bagno nella pozza e proprio sotto la cascatella una serpe d'acqua se ne rimane immobile su un sasso, quasi in posa per gli spettatori. Allora abbiamo un esempio di come la stupidità umana sia colossale e non c'è nulla da fare, governi il mondo. Una coppia di giovani mentecatti, lui palestrato, lei tirata da copertina Vanityfair, dopo aver scattato le foto di rito in posa da copertina appunto, nota come gli altri la biscia e il genio non trova altro da fare che cercare di colpirla a sassate per farla muovere. Mi permetto di fargli notare la stupidità del gesto e lui sorridente, non capisce una sillaba di inglese, continua a tirare sassate sorridendo, per fortuna con una mira pessima. Il nervoso davvero mi rovescia lo stomaco. Per farlo finire non trovo nient'altro da fare che tuffarmi e avvicinarmi alla biscia per vedere se continuerà a tirare sassate. Per fortuna l'episodio si conclude lì. Incontreremo la coppia al ritorno, intenti a farsi foto l'un l'altra in pose divistiche sui sassi del torrente. Tornati al furgo, abbiamo ancora qualche ora di luce e puntiamo a sud. Nessuna baietta ci convince, l'isola è piuttosto antropizzata e in agosto non è facile individuare il posto adatto per noi. Mentre scendiamo in un grazioso paesucolo, abbiamo un'altra prova dell'intelletto umano. Un ciclopico catamarano, e quando dico ciclopico intendo dire il più grande che io abbia mai visto, sta cercando di ormeggiare al porticciolo del paese e quando dico porticciolo, intendo dire porticciolo. Malauguratamente c'è una barchetta, piccina picciò, proprio dove il colosso sta cercando di atterrare, infischiandosene se sta schiacciando la barca contro il cemento del molo. Questa volta sono orgolgioso di essere italiano, perché proprio un italiano interviene, imprecando come uno scaricatore...di porto appunto, contro gli inglesi che ormai hanno schiacciato la vetroresina della barca contro la banchina
- Fakyu, yu andertsten fakyu? Fanculoo.
Finché il colosso si allontana smotorando tra gli applausi degli astanti. Il borgo è davvero sacrificato e non offre nulla per noi, poco più avanti però un cartello "paralia" scritto a mano mi induce lungo una strettissima e scoscesissima strada che poco convince il mio equipaggio, ma che alla fine ci porterà ad una spiaggetta, piccolina, incastrata tra la scogliera, con un parcheggio sotto gli alberi, poco distante. Ci siamo. Arriviamo giù alla spiaggia, scarichiamo la Waka vicino all'acqua e ci organizziamo per la notte. La spiaggia offre anche un ampio spazio ombroso e delizia di ogni libero campeggiatore, un pozzo di acqua dolce a pompa proprio vicino all'acqua. In realtà il luogo si rivela abbastanza affollato la mattina dopo, ma vista la dimensione della spiaggia e la possibilità di parcheggio, i frequentatori sono poco più di una decina. Dopo colazione montiamo la Waka e in attesa del vento, pagaiamo lentamente verso il largo. In un paio d'ore siamo già sufficientemente fuori dalla baia, quando il vento si alza. Provo qualche bordo, ma qualcosa non mi convince. Abbatto, ci mettiamo di poppa e decidiamo di tornare a casa. Non mi ero reso conto che il vento e il mare fossero montati così. L'albero piegato in avanti, sotto la spinta possente della vela trascina la barca velocissima in lunghe planate, ma la prua è sempre pericolosamente vicina ad incapellarsi. Sposto tutto l'equipaggio a poppa e Maya si protegge con uno scialle dal vento e dalle onde che cominciano ad entrare in barca. Mentre io governo, Violanda deve darci dentro con la pompa per svuotare l'acqua che continua ad entrare. Valuto cosa fare, ma c'è ben poco da fare. La canoa continua a planare e nonostante la prua sia sempre bassa, non accenna mai a fare la capriola. sono molto contento dei gavoni stagni che abbiamo deciso di costruire a poppa e prua. In un attimo divoriamo la distanza che abbiamo risalito pagaiando e nonostante continui a ripetere a Violanda indaffarata con la pompa, che non c'è nessun problema, quando arriviamo alla spiaggia sono più sollevato. Spiaggiamo la Waka e assaporo la Amstel che idrata il palato e le fauci secche. La sera Maya lamenta dolore all'orecchio e la mattina dopo ci convinciamo che il vento e le onde dei giorni precedenti hanno provocato un'otite alla bimba. Carichiamo la Waka e cambiamo sito. Ancora a sud, verso la punta più meridionale, dove indugiamo tra le bancarelle del porto e ci rendiamo conto che il traghetto per Itaca è decisamente un fuori programma che non possiamo permetterci. Il porto è la mecca dei surfisti e nonostante ci sia posto per campeggiare lungo la spiaggia, né la compagnia, né il vento ci persuade a fermarci. E' quasi buio, abbiamo fatto amicizia con una rumena che cogestisce una taverna con il marito greco, sono parzialmente ubriaco, ma ci mettiamo in moto. Risaliamo la montagna lungo una strada poco invitante. Ormai è davvero ora di trovare una soluzione. La costa occidentale è in pratica una lunga spiaggia, alla quale si può scendere lungo stradine tortuose e molto strette. In fondo si trovano spesso baracche più o meno organizzate che offrono poco più che birra fredda o, in qualche caso, intrattenimento più animato. La spiaggia ospita diversi liberi campeggiatori che si sono organizzati nelle condizioni più disparate, fino ad aver costruito vere e proprie baraccopoli. Al contrario, lo spazio per parcheggiare furgoni o camper è esiguo. Noi ci avventuriamo lungo una pista sabbiosa che improvvisamente si interrompe per una frana. E' tardi, siamo stanchi, la bimba dorme da un pezzo in fondo al furgo. Per stasera va bene anche qui. Apro la tenda, sistemo la scala, ma malauguratamente realizziamo che la strada porta alla baraccopoli della spiaggia e che sono in tanti a far tardi stasera. Pace. Siamo cullati tutta la notte da possenti frangenti che si schiantano sulla spiaggia e dai continui commenti di quelli che passano commentando il nostro furgo, ormeggiato proprio in mezzo alla strada. Scopro anche che Violanda non gradisce il respiro possente del mare e la mattina dopo è quasi preda di una crisi isterica. Al risveglio, scendo in spiaggia per il consueto rito mattutino e scopro che il villaggio frik è davvero esteso, a piccoli gruppi organizzati, lungo la spiaggia fino a perdita d'occhio. Pieghiamo in fretta la tenda per scappare dal rombo delle onde e dalle macchine dei bagnanti appena arrivati che rischiano di bloccarci nella nostra stradina. L'interminabile spiaggia offre, nella luce dell'alba, tutto il suo fascino e il mare è davvero di un blu invitante, quel blu che ricordavo del mare greco e che finora non avevo potuto mostrare a Violanda. Ciononostante lei sembra non gradire davvero il rumore della risacca e dei cavalloni. Soprattutto la bimba comincia a soffrire per l'otite e necessita velocemente di una farmacia. Siamo fortunati e al primo paese troviamo una gentilissima dottoressa che ha studiato in Italia e ci consiglia non solo il prodotto, ma ci proibisce di portare la bambina al vento e in acqua, almeno per qualche giorno. Panico. Facciamo colazione in un meraviglioso bar panoramico, avviliti, scornati e indecisi sul da farsi. Come si fa a stare al mare con una bambina di otto anni che non può giocare in spiaggia né fare il bagno?
Mentre sorseggio il mio ellenikos metrio, sfogliamo la cartina. Questa primavera con Violanda vagheggiavamo anche la Turchia. Beh tutto sommato abbiamo ancora diversi giorni di vacanza. Abbiamo un furgone carico e pronto ad un lungo viaggio. Per qualche giorno dovremo evitare la spiaggia, quindi........

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margutte ha scritto:
seconda parte

Come si fa a stare al mare con una bambina di otto anni che non può giocare in spiaggia né fare il bagno?
........



Ah, la Grecia! Anni fa nel Peloponneso, in veste di surfista, mi becco l'otite. Io.
Il medico del paese (Monenvasia, bellissimo ed affascinante posto) parla italiano , infatti ha studiato in Italia.
Mi visita gratis, prescrive assoluta astinenza dall'acqua.
Che fare?
Compro dei tappi di silicone per l'orecchio, mi metto sopra la fascia di neoprene che uso al lago in primavera e indosso il salvagente a fare da galleggiante, per non bagnare l'orecchio. E via in acqua con il meltemi a 30 nodi.
E così ho salvato la vacanza. Ma poi l'Otalgan ha funzionato.

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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 09/04/2011, 21:49 
E' un libro...dovresti scrivere un libro... mi sono permesso di far leggere il tuo diario di bordo ad una cara amica...le è piaciuto molto... in attesa del seguito...


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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 10/04/2011, 8:11 
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guarda che poi mi monto la testa. Grazie dell'apprezzamento cmq

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 Oggetto del messaggio: Re: waka: da jesolo a Istanbul
MessaggioInviato: 12/04/2011, 16:18 
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Quindi senza pensarci troppo giriamo la prua del furgo, puntiamo a nord e risaliamo tutta la costa occidentale dell'isola, aerea sopra il mare blu più blu del blu di Lefkada. Eccoci di nuovo al ponte girevole che separa l'isola dalla terraferma. Lì, tra le barche che aspettano l'apertura del ponte per il passaggio ho la possibilità di far vedere per la prima volta a Violanda e Maya, la barca di cui da tempo mi sono invaghito e cui penso come una chimera. Un Tiki 26 bianco, inconfondibile nelle forme che ho guardato e riguardato su decine di foto. Poi di nuovo nord. Dirigiamo verso l'entroterra greco e devo essere onesto, sono sollevato ad allontanarmi dalle mete turistiche delle isole ioniche. Facciamo una breve sosta per comprare frutta sotto un platano secolare e alla frescura di una fontana e ritrovo finalmente l'ospitalità greca che avevo dimenticato nelle turisticizzate mete che abbiamo appena lasciato. Ci godiamo un po' la frescura e poi via, verso Ioannina, verso Salonicco. Ci addentriamo nel paese e il paesaggio cambia. Come è bello viaggiare. Costeggiamo un fiume che ci conduce verso le montagne e l'ambiente ricorda sempre più che ci siamo allontanati dal mare. Ci fermiamo per il pranzo in una meravigliosa taverna in riva ad un fiume che scorre in un bosco di enormi platani. Specialità della casa: trota. I tavolini sono in riva al fiume. Ombra, acqua che scorre, bagnetto nel torrente gelido, Amstel, pancia piena. Un idillio. indugiamo per un po', il tempo di fare ancora il bagno poi di nuovo in marcia. L'autostrada in via di costruzione, si inerpica nelle montagne dell'entroterra e il clima e la pioggia che troviamo in cima ricordano più le strade di casa nostra, che l'assolato paesaggio greco. Avanziamo a fatica, contro un forte vento temporalesco che ci spinge indietro, ma il furgo è inesorabile e divora chilometri su chilometri. Maya legge, qualche volta si lamenta, ma ormai è nel ritmo carovaniero. Mentre guido, Violanda studia la cartina e ci interroghiamo sulla prossima meta. Mi invita Thassos, di cui ho letto invitanti recensioni, ma Violanda è più affascinata dall'oriente. Allora via. Sull'autostrada non ci sono distributori e per fare il pieno dobbiamo uscire. L'occasione è buona per uno spuntino pomeridiano in un paese infestato da nidi di cicogne, dove chiacchieriamo in greco con un simpaticissimo oste che regala un palloncino a Maya. Poi di nuovo strada e chilometri. Via Salonicco, via la Calcidica, finalmente si rivede il mare che ha cambiato nome e anche il tempo sembra essere nuovamente estivo. E' buio ormai quando ci decidiamo per la notte. Una piccola deviazione ci porta sulla costa e una stradina ci conduce in spiaggia e qui, decido di spiaggiare il furgo. Letteralmente. Mentre cerco un posto che sia ideale, il furgo sprofonda. Né avanti, né indietro. Violanda non è contenta di me, perché sostiene che non sono mai contento, anche se dobbiamo solo fermarci per un caffè. Non ha mica torto, comunque ormai è fatta. Organizziamo la cena in fianco al furgo un po' sbilenco e mentre Violanda cucina, consolo Maya che piange perché ha paura di rimanere bloccata lì per sempre.
All'alba Violanda mi sveglia, perché dei pescatori greci stanno varando una barchetta da pesca, è domenica. Con gli occhi ancora pesanti mi avvicino per chiedere loro una spinta, ma rimango deluso quando mi rispondono che non hanno tempo e che semmai ci aiuteranno al loro ritorno, verso mezzogiorno. Sono in 5 e il furgone è a 20 metri di distanza. Basterebbero 3 minuti di numero, ma non voglio insistere. Solo rimango un po' deluso. Al mio ritorno però Violanda afferra qualche frase di cui comprende l'idioma da un gruppetto che si sta avvicinando al furgo. Bulgari probabilmente. Quando chiede al ragazzone di darci una mano, quello viene verso il furgone, si rimbocca le maniche e per un attimo ho la sensazione che voglia caricarsi il mezzo sulle spalle per levarlo dalla buca di sabbia che ho creato la sera prima. Invece con un gesto imperioso mi chiede le chiavi. Obbedisco. Poi spedisce morosa e suoceri dietro a spingere. Obbediscono. Mi permetto di dare il mio contributo e in un attimo il furgone è fuori, mentre Maya, svegliata dal trambusto, si affaccia al lunotto e si gode la scena di noi quattro che spingiamo il furgone. Il tipo mi riconsegna le chiavi con un sorriso di sufficienza e non accetta neppure il caffè, con l'espressione di chi non ha fatto altro che il suo dovere da supereroe. Grazie.
E' molto presto, il tempo non è bellissimo, ma migliora. Il mare è una tavola. Improvvisamente mentre passeggio sulla sabbia in cerca di un posto sufficientemente riservato, noto con la coda dell'occhio una forma sul pelo dell'acqua, che però afferro solo per un attimo. Guardo ancora per un po', domandandomi se per caso non sia ancora imbambolato dal sonno e invece avevo ragione. Delfini. Una coppia di delfini sono venuti a giocare vicino al bagnasciuga. Urlo a Maya e a Violanda di guardare verso il mare e i bulgari salvatori, si allarmano come se fossi un ossesso. Invece tutti poi, ammiriamo lo spettacolo di una delfina col suo cucciolo che sono venuti a pescare e giocare vicino alla sabbia. Che spettacolo. Avevo promesso a Maya che avremmo visto i delfini, ma mai mi sarei aspettato di vederli dal furgone.


un po' di pazienza...sto copiando dal diario

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