Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
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 Oggetto del messaggio: Croazia 2015 - l'estate perfetta
MessaggioInviato: 22/04/2016, 22:00 
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cap.1

- Dai Bocca, tira
- …..cagatevi...addosso.
Bocca è un omaccione di un metro e ottanta per un quintale abbondante
- Allora Bocca, tiri o no?
- ..andate... a farvelo mettere.
Le parole e gli insulti escono smorzate dalle labbra, con la voce compressa dallo sforzo, deformata nelle gote gonfie.
- Bocca, ce la fai o chiamiamo qualcuno?
- ...crepa.
Le frasi sono mischiate al gemito, lungo e sordo, mentre sbuffa come un bue, trattenendo il fiato quando tira più forte e sottolineando con un rantolo quando prende la rincorsa per tirare ancora di più.
Si puntella con un piede contro un ceppo che regge la barca, ha il cavo attorcigliato attorno alle mani e con il corpo completamente sbilanciato indietro, mette in carico il paranco delle legature, tirando ad intervalli regolari. Io controllo che la legatura scorra bene e vada a strozzare i vincoli della sagola che unisce la traversa allo scafo. Ad ogni strattone di Bocca, la sagola scorre di qualche centimetro e mette in tensione le 5 volte della legatura.
- Bocca, ti serve un ovetto sbattuto per rimetterti in forma?
Bocca non riesce più nemmeno a bestemmiare e le gocce di sudore imperlano la fronte rossissima e le guance ormai cianotiche, poi inarca la schiena e con un lungo e prolungato gemito, tira ancora.
Quando il cavo del paranco è arrivato a fine corsa, strozzo con una mano la sagola e con l'altra infilo il capo attraverso le legature. Alessio cerca di farmi spazio attraverso le spire della cima con un cacciavite, finché non concludo il nodo. Bocca intanto torna a respirare e finalmente bestemmia a pieni polmoni, si apre una birra e tira due lunghe sorsate. Così per 12 volte, 4 legature per tre traverse
- Bocca sei pronto?
Bocca trangugia gli ultimi sorsi di birra, fila il cavo all'interno delle doppie carrucole mobili, fino ad allungare il paranco, bestemmia un'ultima volta, si appoggia con un piede su un blocco e comincia a gemere insulti e bestemmie, sbuffando tra le labbra tese, mentre Alessio gli dice quando tirare e io controllo che la legatura si chiuda bene.
È primavera anche a casa nostra, ma al mare la primavera è diversa. È proprio un'altra cosa. Da noi il sole scalda la pelle nuda delle braccia, ma l'aria fa rizzare i peli, coperti da maglioni e maniche lunghe per tanti mesi invernali, le sere sono lunghe e vien voglia di restare fuori, anche se al tramonto l'aria pizzica ancora la faccia.
Al mare no. Al mare bisogna cercare ombra per poter lavorare e si sta volentieri in canottiera. L'acqua è fresca, ma terribilmente invitante.
- Dai Bocca tira.
È incredibile come le bestemmie siano così articolate anche sotto sforzo, anche se il loro senso non è sempre chiarissimo
Stiamo lavorando da stamattina. L'angoscia che negli ultimi mesi mi ha perseguitato si è finalmente sciolta, come la neve sulle montagne in questo inizio di primavera. Un altro inverno è passato nel laboratorio di Yanez grande, per tagliare e montare i pezzi del quadrato centrale di Tomtom, poi nel mio piccolo laboratorio per incollarli e verniciarli. Ho insudiciato per sempre il pavimento del bagno e Violanda non ne è stata contenta. La traversa era troppo lunga per starci tutta nel laboratorio e così ho dovuto farne uscire un pezzo nel bagno, solo che mi si è rovesciato un barattolo di vernice poliuretanica bicomponente sulle piastrelle. Roba nautica, di quella buona e la macchia è ancora lì e credo che ricorderà anche ai nostri figli i lunghi inverni di restauro del nostro catamarano, quando i loro genitori, trascorrevano le domeniche e le serate a verniciare, incollare, piallare, e sognare il mare e le rotte che ci avrebbero portato lontano sul mare croato alla scoperta di isole lontane e selvagge, liberi e spensierati. La realtà è poi diversa, perché non è facile andarsene a spasso con 4 bambini piccoli su un catamarano autocostruito, e spesso le crociere sono molto faticose e si torna più stanchi di quando si è partiti.
Ecco perché quest'anno non andremo in crociera. Appena lavate le vele e rimesso la barca, subito torna la voglia si salpare e di nuovo ci si trova a sfogliare il 777 in cerca di una nuova rotta e di un'altra isola da conoscere l'anno successivo. Ma questa volta Demetra, la figlia più piccola, non ha ancora compiuto un anno e né io né Violanda ce la sentiamo di tornare a navigare su una barca da campeggio nautico con quattro bambini di cui un poppante e un pannolino dipendente. No, quest'anno ci limiteremo a mettere la barca in acqua davanti a casa e fare piccole sortite nei dintorni, solo per godere un po' delle vele spalancate sul mare, per abituare la poppante alla barca e soprattutto per riposare.
Io lavoro di giorno e Violanda lavora di notte. Non avrebbe senso pagare un asilo nido e in questo modo riusciamo a gestire la piccola in maniera autonoma. Economico, ma sfibrante. Soprattutto per Violanda, che oltre a fare il turno di notte si ritrova poi la casa da gestire durante il giorno e una bambina di neanche un anno che però ne dimostra 14, femmina, adolescente in crisi.
- Bocca dai, tocca a te, ma stavolta devi tirare, non fare finta.
E di nuovo bestemmie biascicate tra le labbra deformate nello spasmo dello sforzo e insulti generici indirizzati a caso, mentre le carrucole scorrono e la cima delle legature geme mentre strozza le volte attorno alla traversa.
Durante i fine settimana portavo con me i due maschi nella falegnameria domestica di Yanez Grande, che così si trovava a inventare lavoretti per tenere occupati i bambini. I piccoli piantavano chiodi a caso oppure si occupavano di tenere accesa la stufa con segatura e scarti di legno, i grandi costruivano tutti i pezzi che mancavano per completare il quadro centrale del catamarano.
Era fondamentale concludere il quadrato centrale. Abbiamo allora aggiunto due vasche laterali alla vasca centrale già finita la scorsa estate e denominata vanuja, la vasca dove viene messo il maiale per il macello. Nelle vasche laterali abbiamo ricavato due grandi gavoni per tenda, serbatoio e giubbotti di sicurezza, che così sono sempre a portata di mano. Nell'altra abbiamo ricavato uno spazio per attrezzi, un lavandino per la cucina, ma soprattutto un cesso, con scarico a perdere direttamente a mare. Quest'ultima miglioria era diventata un'imposizione da parte di Violanda ed effettivamente ha semplificato di molto la vita a bordo non solo in termini di comodità, ma anche in sicurezza in quanto non serve più sporgersi fuoribordo per fare la pipì né usare scomodi buglioli. I bambini se ne servono senza rischi anche in navigazione. Le donne di bordo hanno particolarmente apprezzato il cesso, spartano ma comodo.
Anche le terrazze di prua meritavano un po' di manutenzione. La scorsa estate le abbiamo terminate che mancava qualche giorno alla partenza, e invece di incollare le stecche, le abbiamo avvitate con viti che naturalmente sono subito arrugginite. Quest'anno perciò abbiamo levato tutte le viti e le abbiamo sostituite con tasseli di legno, incollati con la resina epossidica. Alla fine ne è uscito un bel lavoro.
Perfino i coprigavoni sono stati rifatti per sostituire quelli vecchi ormai irrecuperabili. Abbiamo deciso di tornare al bianco, perché il colore blu sotto il sole estivo della Croazia, trasforma il sedile dove appoggiare le chiappe in un barbecue.
Rifare gli oblò non è stato così semplice, perché il vetro è inclinato è deve entrare preciso in una guida. Dovranno essere incollate a bordo, non c'è nulla da fare.
- Bocca sei pronto?
Ormai abbiamo quasi concluso le legature. Sono felice e all'ombra della barca, in ginocchio tra i due scafi sorrido, mentre Alessio, accucciato sulla tuga stuzzica Bocca, che ancora una volta, si asciuga con uno sporco asciugamano il sudore che cola sulla fronte, sputa sulle mani, bestemmia ancora una volta e si prepara a tirare.
- Dai Bocca, guadagnati la birra.
E ancora una volta, le carrucole cigolano e la cima geme sotto gli strattoni imposti da Bocca.
Ora sono leggero, godo di questo semplice gesto, e ascolto come una musica, un cinguettio di uccellini le bestemmie e le imprecazioni orribili di Bocca.
Questa mattina tutto era diverso. La barca smontata, sparpagliata per il cantiere sporco. Ogni nuovo pezzo era stato costruito a 300 chilometri dalla sede dove sarebbe dovuto entrare e in una barca autocostruita in compensato marino, nulla è preciso al millimetro e l'angolo a 90° gradi esiste solo nei disegni del progettista. Mille volte con Yanez Grande abbiamo guardato le foto e le misure prese all'inizio dell'autunno. Mille volte ci siamo chiesti se poter rischiare qualche centimetro in più o in meno, perché nel progetto originale c'era un errore che è stato corretto in corso d'opera, oppure una modifica, per rendere più razionale il lavoro.
Una barca come la nostra, costruita in compensato e tenuta insieme con lo spago, si può smontare e rimontare, neanche fosse stata progetta dall'Ikea. È questo uno dei suoi grandi pregi. Tutti i pezzi della costruzione si incastrano l'uno con l'altro, e non ci può essere neppure una vite, che sicuramente arrugginirebbe e farebbe imputridire il legno.
La traversa centrale, disegnata come una doppia T, ha spazio per alloggiare sulla parte inferiore le tre terrazze di prua davanti, e le tre vasche del pozzetto a poppa, che una volta entrate nel loro alloggiamento non si possono più muovere, tenute in sede dalla parte superiore della doppia T. Tutto deve entrare contemporaneamente al suo posto.
Come possiamo fare? Ci vorranno almeno in 8 persone, due che alzano la traversa e sei che reggono terrazze e vasche. Ma dove li troviamo 8 volontari che ci seguono a Krk. Yanez Grande si defila subito. Come dargli torto, d'altronde ha già dedicato tre inverni alla nostra barca e non è detto che siano gli ultimi.
Ci troviamo alla fine solo Bocca, Alessio ed io, seduti in furgone pronti alla partenza.
Vedrai che ce la facciamo, ce la facciamo.
Durante il viaggio spiego tutto il meccanismo ad Alessio. Bocca guida il furgone e Alessio, con la testa inclinata e i capelli sciolti che penzolano di lato, guarda le mani che mimano il gesto, i pezzi e la manovra. Annuisce lento e poi guarda fuori dal finestrino, il mare che improvvisamente è sbucato sopra la strada in discesa che scende fino a Rijeka. Si vedono le isole di Cres, Krk, lo stretto canale dell'Istria, buona parte del Quarnaro, pieno del sole pomeridiano e in fondo il lungo ponte che ci porterà alla nostra barca. Anche il mare sembra in discesa. Un lungo scivolo blu, che dolcemente scorre verso sud, verso le isole selvagge e deserte della Dalmazia, quelle isole lontane che intravedo tra il compensato e un disegno a matita, quelle isole che hanno l'odore dell'epossidica del laboratorio di Yanez, in piedi con le mani che si scaldano dietro le gambe al caldo, accanto alla stufa accesa, nel lungo inverno dell'Alpago.

In cantiere ci apriamo una birra e Alessio continua ad annuire, guardando il catamarano, spoglio e sporco dopo l'inverno passato sotto il telo.
Ogni volta che vengo a trovare la barca in questo sudicio cantiere mi viene un po' la malinconia. Ci sono rottami dappertutto e le foglie morte cadute dagli alberi marciscono sul terreno e sulla coperta, sporca, umida e macchiata, nonostante il telo tirato per coprirla, che regolarmente, al primo colpo di bora si straccia o vola via. È come quando trovi una di quelle riviste abbandonate da qualche decennio in uno scantinato, e i sorrisi delle modelle o le pubblicità delle auto sportive, sono macchiati di umidità, scoloriti e ricordano uno splendore ormai definitivamente decaduto. Così gli allegri pesci disegnati sullo scafo e le esili linee delle prue, sembrano sprofondare nella melma invernale del cantiere, tra una catena arrugginita, un vecchio alternatore in disuso da anni e qualche barattolo di vernice abbandonato.
Senza il quadrato centrale e senza una traversa, con teli a coprire i gavoni privi di coperchi, la nostra elegante barca sembra un relitto abbandonato.
Smontiamo tutto dal furgone, leviamo il telo allagato e strappato dopo la stagione della bora e lasciamo che la barca si asciughi al tardo sole primaverile di questa serata. Alessio continua a guardare la barca e annuire, piano, con i capelli che dondolano vicino alle orecchie.
La mattina successiva ci alziamo presto e Alessio mi confida piano: ora ho capito come fare. Ho capito.
- Per prima cosa ordine in cantiere.
Intima Bocca. Lui di cantiere se ne intende e cominciamo a liberare le masserizie che in una stagione si sono accumulate sotto la barca. Il tender, la canoa e il kayak, la vanuja grande e una montagna di altra roba che alla fine della crociera per ora metto qui, poi quando gli ho trovato un posto diverso la sposto.
In breve attorno e sotto alla barca è tutto ordinato e pulito, quindi possiamo mettere in opera il piano di Alessio.
La traversa viene sollevata sopra la barca sopra due pile di tavolette. Le tre vasche e le tre terrazze vengono legate da una parte nella loro sede, quindi appoggiate sulla doppia “T” della traversa e, lentamente, Bocca e io solleviamo un po' la traversa e Alessio toglie le tavolette, una alla volta, finché la traversa, un po' alla volta, scende nei suoi acetaboli. Lentamente tutti i pezzi vanno al loro posto contemporaneamente, fino a entrare nella loro sede definitivamente. Come le dita di due mani, che si intrecciano fino a serrarsi in una stretta. Proprio come il gesto che mimavo ad Alessio in furgone.
Quando anche l'ultima tavoletta è tolta, finalmente respiro. Salto sulla coperta ancora umida e scivolosa. Controllo tutti gli spessori, tutte le misure, tutti i laschi.
È incredibile come a distanza di 300 km siamo riusciti a completare un lavoro di simile precisione. Spedisco le foto a Yanez Grande. È in buona parte merito suo se siamo riusciti a completare tutto, per tempo e con questo risultato.
Mi sono tolto un peso dal cuore. Da mesi alla sera, disteso sul letto, sto con gli occhi spalancati nel buio a guardare le travi del soffitto, pensando a come far il lavoro, quando incollare e come, ripasso ciò che devo fare per visualizzare eventuali errori, oppure difetti del progetto.
Subito chiamo Violanda e le racconto come è andata.
La barca ora torna a somigliare a quello che dovrebbe essere: uno splendido catamarano da campeggio nautico.
Apriamo una birra e la beviamo all'ombra dei lecci che circondano la barca. Il lavoro è ancora lungo, ma la parte più difficile è finita e torno a respirare liberamente.
Il pomeriggio lo passiamo a ripassare le legature.
- Bocca, tira.
E Bocca fa cigolare il paranco.
Poi montiamo i coprigavoni, Alessio svuota tutta la barca dei contatti elettrici, perché dopo l'esperienza degli anni scorsi ho scoperto che non mi serve tutto quel rame in barca. Mi basta una lampada a petrolio e una piccola batteria, collegata ad un pannello per ricaricare le piccole utenze come macchina fotografica, cellulare e pile. Alla sera sotto la barca è accumulata una montagnola di cavi, batterie e lampade. Ora la barca pesa sicuramente 50 kg in meno.
Ormai sono entrato nello spirito della crociera.
Bevo l'ultima birra a bordo, seduto sulle panche nuove, verniciate da soli pochi giorni. Guardo i dettagli, penso a quei pezzi finalmente in sede e mi chiedo se anche lavorare sulla propria barca non faccia parte della navigazione, della crociera, del viaggio.
Già, perché quest'anno in crociera non ci andremo. Metteremo la barca in acqua, ma la terrò ormeggiata ad un corpo morto, ad una colossale ancora in acciaio che mi ha costruito Maric, secondo le mie indicazioni.
Violanda non se la sente di partire con 4 bambini, due ancora ciuccio dipendenti, sopra una barca da campeggio nautico. No, quest'anno useremo la barca solo per brevi gite giornaliere e forse, se proprio vediamo che le cose vanno bene, dormiremo in baia una notte soltanto. Ed è un peccato, perché finalmente anche il nostro Tomtom ha la sua brava tenda. L'ha cucita Violanda lontano dalla barca, calcolando le misure con il teorema di Pitagora. È stata montata un'unica volta in giardino, per vedere se stava su, mentre i bambini correvano fuori e dentro e giocavano al campeggio. Non l'abbiamo ancora montata sulla barca, ma non ci dovrebbero essere problemi di sorta. Se anche sarà un po' più lunga o un po' più larga, sarà comunque meglio dello straccio che abbiamo usato finora.
Che peccato. Proprio quest'anno che la barca sembra essere finalmente finita, proprio quest'anno in crociera non si va. Meglio così. Abbiamo necessità di riposo. La nostra è una famiglia faticosa e a conti fatti, è meglio godersi un periodo di riposo e usare la barca solo per brevi gite giornaliere.
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 Oggetto del messaggio: Re: Croazia 2015 - l'estate perfetta
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margutte ha scritto:
cap.1

Violanda non se la sente di partire con 4 bambini, due ancora ciuccio dipendenti, sopra una barca da campeggio nautico. No, quest'anno useremo la barca solo per brevi gite giornaliere e forse, se proprio vediamo che le cose vanno bene, dormiremo in baia una notte soltanto..
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Violanda è una persona sensata, ed il programma per l'estate mi sembra ragionevole. Per renderlo molto attraente dovresti curare qualche dettaglio tipo:
-uno o più canottino gonfiabile per i bambini per giocare ai pirati e conquistare l'isola catamarano ormeggiato in baia.
-un barchino a vela per giocare a velista esploratore che visita tutti i pertugi della baia e va a mangiare il gelato al baretto dall'altra parte
-attrezzatura da bricoleur per lo skipper così passa il tempo a rifare impiombature e realizzare piccole soluzioni per rendere più confortevole la sognata crociera di lungo raggio, così non si annoia e non rompe le palle ai suoi famigliari
-barbecue a manetta così lo skipper ha qualcosa da fare anche attorno ad ora di pranzo e cena
Sono certo che i tuoi figli ricorderanno questa vacanza a lungo e si faranno un sacco di amici pirati


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 Oggetto del messaggio: Re: Croazia 2015 - l'estate perfetta
MessaggioInviato: 02/05/2016, 22:22 
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CAP. 2


Lo schiocco del legno fresco, netto e rumoroso, sovrasta il rumore della gru, in una pioggia di foglie verdi e gialle. Ne avevo parlato con il proprietario del cantiere, ma lui aveva abbozzato un sorriso e aveva scherzato dicendo che quei rami servivano per fare ombra. Sono già tre ore che aspettiamo che ci mettano la barca in acqua, ma il gruista sembra avesse da fare con la fidanzata e quando arriva è di mal umore e frettoloso.
Ho un cattivo presentimento e Violanda è nervosa perché è tardi e Demetra dovrebbe dormire, ha fame e si lamenta.
Violanda è sempre nervosa quando bisogna spostare la barca. Smania, si lamenta, ha sempre paura che qualcosa possa andare storto. Anch'io sono in ansia, ma continuo a ripetermi che il gruista saprà ben fare il suo lavoro.
Il catamarano è troppo largo per passare attraverso uno stretto collo di bottiglia tra l'officina del meccanico e lo squero del cantiere, per cui con la gru è stato sollevato alto sopra i tetti delle case e poggiato nella sua prigione, stretto in un angolo, sotto un leccio - secondino che gli fa da guardia e che lo insulta con le sue foglie marce e i semi dei suoi fiori, accumulati dalla pioggia nelle pieghe più nascoste della barca, sotto le traverse e negli angoli delle tughe. Tutto si macchia di nero e togliere la smorcia accumulata sotto le traverse diventa difficilissimio
Ora finalmente bisogna tirare Tomtom fuori di lì, liberarlo, ma i rami dell'albero, come un ombrello coprono la barca. Scendendo si sono piegati docili al movimento della barca, ma ora che la barca deve salire, i rami chissà perché non ne vogliono sapere di lasciare passare la barca. Si piegano al contrario, “contro vena” direbbe Yanez Grande e si oppongono al movimento della barca. Lo faccio notare al gruista e agli operai, che alzano le spalle e la barca con la gru.
Quando il primo ramo si spezza, con uno schiocco verde e secco, l'operaio mi guarda e dice: “tranquillo, si è spezzato solo il ramo”. Lo guardo con odio e la barca improvvisamente libera dal ramo che non la lasciava passare oscilla fino a rompere con la poppa, le tegole del tetto dell'officina. Violanda si lamenta a voce alta, ma il gruista continua a sollevare la barca, si spezzano altri rami e la barca scende un po', poi sale, viene fatta girare per passare meglio, urta ancora contro il muro e io ho il terrore che le chiglie a banana possano far scivolare fuori le cinghie. Ora è altissima sopra le nostre teste, poi si appoggia dietro al collo di bottiglia e io accarezzo i graffi della vernice e tolgo foglie e rami spezzati dalla coperta. Sono le undici e mezza di mattina e tutto il cantiere si ferma per la merenda. Violanda non ne può più e Demetra si lamenta sempre più forte finché finalmente ottiene il suo biberon all'ombra, tra i due scafi.
Dopo mezzora abbonante si riprende il lavoro, sotto la canicola del mezzogiorno. L'agonia non è ancora finita. Si tratta ora di spostare la barca di una ventina di metri, trascinandola sugli invasi, fino al molo, dove finalmente dovrebbe essere messa in acqua.
Le ruote degli invasi cedono subito sotto il peso del catamarano, ma il gruista continua a tirare con il muletto, finché le ruote deformano i cerchioni e divelgono l'asse. Poi insiste ancora, tirando di viva forza la barca fuori dagli invasi.
C'è un bosniaco che lo aiuta.
Ha la faccia blu, sporca di qualche vernice, a torso nudo con un capellaccio in testa e un espressione ottusa. Con un palo infilato sotto uno scafo, cerca di fare leva per far scorrere meglio la barca sull'invaso. Violanda, con Demetra in braccio, sembra uscita da un quadro di Pelizza da Volpedo, mentre gli urla con tutta la sua forza di fermarsi, che sta spaccando tutto, ma le urla sono coperte dal rumore dei motori e il buffo blu bosniaco, insiste con la testa bassa, sotto lo scafo di Tomtom.
La barca è bloccata.
Il gruista avvicina il muletto al centro del catamarano e infila le forche sotto il pozzetto per sollevarla.
“Ma capirai che è compensato e che la sollevi con le forche spacchi tutto”.
Gli parlo in italiano, ma mi capisce lo stesso, forse grazie all'espressione deformata e sbigottita del mio volto. Fa una smorfia, indietreggia e prova ad infilare le forche sotto la traversa, di lato.
Io in quel momento ho la testa bassa. Sono accucciato sotto la barca e cerco, con uno sforzo idiota e privo di scopo, di sollevare uno scafo da un invaso che gratta la fiancata. Come un ramo secco, netto e lacerante è lo schiocco del legno che si spezza, ma questa volta non si tratta di un ramo.
Alzo la testa e vedo un moncone della barra che piega di lato la pala del timone, ormai libera di muoversi e contemporaneamente la faccia abbronzata del gruista sul muletto, che sbuffa, scocciato per questa ulteriore noia.
Prendo in mano la barra spezzata che tocca per terra, alzo lo sguardo verso Violanda e non riesco a far altro che sottolineare l'evidenza: “è rotta” con un filo di voce, quasi cercassi conferma nel volto di Violanda, con una mano sopra la testa e Demetra in braccio.
Oramai è come se non ci fosse più nulla da fare e gli operai spostano il catamarano come fosse la carogna di un pesante animale da trascinare verso la fossa.
Non vedo l'ora che finisca questa via crucis e alla fine, mi dico, tirerò le somme dei danni.
Quando in fine siamo sotto la gru, un operaio cerca di salire sulla coperta, con i pesanti scarponi da cantiere per legare le fasce del bilancino. È l'ultimo sfregio, il calcio dell'asino. Mi impongo, urlo in italiano di allontanarsi, di stare giù, lo trattengo e quello mi manda a quel paese in croato.
Non voglio che nessuno tocchi mai più la mia barca.
Il silenzio del motore della gru cala su Tomtom che galleggia nell'acqua unta del cantiere. Gli operai salgono lentamente verso l'officina senza girarsi, senza dire una parola.
Io rimango in piedi sul quadrato del catamarano, pieno di foglie e rami spezzati, graffiato, sporco, sui fianchi i lunghi segni dei denti degli invasi da cui è stato strappato, una pala del timone penzola storta e la barra è appoggiata di traverso sulla tuga. Rimango a guardare Violanda, sul molo, con Demetra in braccio, mentre i bambini urlano e giocano, correndo per il cantiere. Per un attimo mi pare di vedere qualche goccia di sangue annacquarsi nel lercio bacino del cantiere, sotto la pancia di Tomtom. Mi pare di udire un gemito della mia barca, nel silenzio. Ma è solo un attimo.
Fortunatamente ho sempre con me qualche goccia di epossidica e qualche attrezzo. La sera stessa incollo il timone e lo fisso con viti d'acciaio. Chiedo in prestito qualche morsetto, il proprietario del cantiere me ne da 4, ma non mi lascia lavorare nella sua officina, ha altro da fare.
La mattina successiva il timone è pronto. Eravamo d'accordo che avrei issato l'albero con la gru, ma non vedo l'ora di abbandonare quel cantiere dove ci sono ancora i segni della vernice fresca del mio catamarano trascinato sul cemento. Appoggio i morsetti contro la porta dell'officina, metto in moto e sposto la barca fino ad un corpomorto al centro della baia. Isseremo l'albero come abbiamo sempre fatto, arenando la barca sulla spiaggia e barattando una birra con l'aiuto del primo che si fa vivo a tenere lo strallo.
Sono curioso di vedere se i proprietari del cantiere verranno a chiederci di saldare il conto, ma nelle settimane successive, non si è più fatto vivo nessuno. E meglio così.
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Ci sono sistemi più semplici per dire ad un cliente di non tornare :(


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Paddy ha scritto:
Ci sono sistemi più semplici per dire ad un cliente di non tornare :(

temo anch'io che volessero passare un messaggio subliminale.


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in ogni caso ci sono riusciti :evil:

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non so se ti hanno già detto che scrivi proprio bene e che è sempre un gran piacere leggere i tuoii racconti......dovresti scrivere un libro :lol: (anche perchè quell'altro l'ho consumato :lol: )


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CAP 3.

È incredibile come solo dopo pochi giorni, la pigrizia vacanziera si impadronisca di me e io ne diventi suo schiavo.
I giorni o le settimane precedenti alla partenza sono frenetici e intensi, con brevi pause per mangiare o bere una birra e la sera si crolla esausti con la mente focalizzata ai lavori che ci aspettano la mattina successiva, tuttavia una volta che la barca è in acqua, l'ozio cala come una rete di piombo sulle mie membra pesanti e ogni operazione, anche la più semplice, è qualcosa che sicuramente può essere fatto domani. Sì, domani, oggi mi devo riposare da ciò che non ho fatto ieri.
Ce ne stiamo stravaccati in spiaggia, all'ombra dei lecci, mentre i bambini costruiscono instancabili, dighe, castelli, piste e piscine. Se la spossatezza me lo consente gioco un po' a palla con Maya o con Violanda, ma sono solo brevi prestazioni straordinarie, dalle quali poi mi devo riprendere con una birra fredda, seduto a guardare i bambini che esplorano il fondo con la maschera e si tuffano dal pontile. Ogni tanto usciamo in barca per piccolissime gite nei dintorni. Stiamo fuori solo poche ore e spesso non issiamo neppure le vele. Non c'è vento oppure dobbiamo andare ad una spiaggia tanto vicina che non vale neppure la pena prendersi la briga di tirare fuori tutto, per poi dover rimettere in ordine. Una volta arriviamo fino ad una spiaggia riparata, dove sorge il rudere di una tunera. Issiamo la tenda, che calza un po' abbondante. Giochiamo in spiaggia, violanda prova a nuotare e poi pranziamo al fresco, sotto il telo. Quando Demetra e Emir dormono, ne approfitto anch'io per stendermi sulle panche nuove, sopra i cuscini. Yanez e Maya giocano in spiaggia sotto l'ombrellone, Violanda sguazza a fianco la barca, dove si tocca e io faccio la guardia ai poppanti, con l'aria fresca che mi accarezza la pancia.
Come ogni anno, termino i preparativi della barca imponendomi calma e razionalità per concentrarmi sugli ultimi dettagli prima della crociera. Anche se quest'anno, in crociera non ci andremo.
Ormai ho elaborato una strategia che mi sembra funzionare.
Salgo a bordo e per prima cosa mi siedo sulla tuga e bevo una birra, elaborando la soluzione meno faticosa per fare ciò che deve essere fatto.
Poi mi fermo per un po' a contemplare il mare oppure una barca ormeggiata vicino. Guardo i difetti delle pennellate o qualche goccia di epossidica sfuggita e ormai irrimediabilmente seccata.
Mi godo tutte le migliorie e i pezzi sui quali ho lavorato durante l'inverno e mi compiaccio di essere al mare, seduto sulla mia barca, invece che nel mio laboratorio a respirare polvere e vapori mefitici.
Scruto in lontananza i miei bambini che schiamazzano in spiaggia.
Quindi sistemo una drizza, cazzo una bigotta delle sartie e rifaccio un nodo.
Presto però mi convinco che con questa bella giornata non è il caso di lavorare troppo, e che forse è meglio giocare con i bambini in spiaggia, in fondo è troppo caldo.
Dopo una settimana Violanda smania e sembra una tigre in gabbia, mentre io, stravaccato all'ombra, mi interrogo su cosa arrostire stasera sulla brace.

Abbiamo avuto in visita gli zii, che si sono portati dietro un'intera squadra di bambini. In pratica non abbiamo visto Maya per dieci giorni, ospite della villa con piscina che i cugini avevano affittato. Ne ho approfittato per qualche gitarella a vela con mia sorella e mio cognato, mentre Violanda badava ai bambini.
Un pomeriggio ho caricato tutta la ciurma vociante su Tomtom. Mi sembra fossero sette o otto marinai, compresi tra i 10 e i 14 anni. Ci siamo divertiti un sacco a correre su e giù per la baia, provando tutte le andature. Io, seduto sulla terrazza di prua, e un marinaio per manovra, che svelti e scattanti, rispondevano ai miei ordini urlando “signorsì signore”. Promettevo giri di chiglia a chi sbagliava o non eseguiva esattamente un ordine e decidevo i turni di chi stava al timone, o alla scotta della randa. Perfino Tomtom sembrava sorridere e qualche volta prendeva un'onda un po' di traverso, per sbilanciare qualcuno più disattento o schizzarne qualcun'altro sporto fuoribordo con la schiena e la testa piegata indietro, reggendosi con una mano alla sartia. Alla fine del pomeriggio, quando di vento non ce n'era ormai più, siamo sfilati davanti al molo, con la ciurma sull'attenti, ritti sulla tuga del catamarano.
È istruttivo vedere come i bambini obbediscano, stiano attenti e imparino veloci, se lo fanno divertendosi.
Quando dopo due settimane tutti se ne sono andati Maya ha chiesto di essere adottata dagli zii, ma non è stato possibile accontentarla, per cui è ritornata suo malgrado alla nostra rumorosa e consueta quotidianità.

La sera, in terrazza, come di consueto me ne sto seduto a guardare il lumicino acceso su Tomtom, pacifico, all'ancora davanti alla spiaggia. È uno dei momenti che più mi piacciono della giornata. Quando tutti i bimbi sono a letto, Violanda ed io ci sistemiamo in terrazza, accoccolati sulle sedie con una birra fredda tra le mani. Violanda alla sera preferisce un pelinkovac con ghiaccio e limone.
Tutto è silenzio e un po' per non svegliare i bambini, un po' per non disturbare la notte, anche noi parliamo sottovoce e ci confrontiamo, ci raccontiamo la giornata, ricordiamo i momenti più belli, oppure semplicemente godiamo del silenzio e del lumicino di Tomtom e del rumore di qualche entrobordo sordo e sommesso che rientra dalla pesca o che esce a calamari.
Quest'estate è particolarmente calda e alla sera in terrazza, una piacevole arietta ogni tanto fa oscillare la candela e rinfresca la notte. Quest'anno non c'è sentore di bora né di neverin. Siamo al mare già da venti giorni e oramai non guardo neppure più le previsioni del tempo, attività quotidiana solitamente quasi ossessiva.
Ogni giorno la stessa storia: alta pressione, assenza di nubi, maestrale al pomeriggio che abbonaccia alla sera.
Ogni giorno uguale.
Una meraviglia, peccato non andare in crociera con un tempo così.
Perfino le zanzare quest'anno sembrano meno cocciute e meno fastidiose degli scorsi anni, tanto che alla sera non serve neppure accendere lo zampirone. Butto giù un altro sorso di birra ghiacciata e osservo le evoluzioni di un nottolo sopra le nostre teste. Nel prato, le lucciole danzano per noi. Anche se siamo stanchi, anche se so che i bambini domattina ci sveglieranno all'alba e che sicuramente stanotte mi dovrò alzare più di una volta, perché Demetra ha fame, Emir ha sete e Yanez si è scoperto, anche se il sonno mi sta precipitando sugli occhi, voglio godere di questa notte ancora un po'. Cerco il carro e osservo le luci lontane della costa, mentre l'onda della passera passata poco prima, fa dondolare il lumicino di Tomtom e l'onda si sente appena in lontananza battere sul cemento del molo. Poi di nuovo tutto tace.
Violanda rompe il silenzio e mi chiede – ma cosa manca ancora a Tomtom?
Rispondo evasivo – mah, un po' di cose, qualche ritocco.
- Hai montato le finestre?
Ecco lo sapevo, colpito e affondato.
- No, le finestre ancora no. È un lavoro un po' lungo e delicato. Devo farlo alla mattina presto, sennò mi cucino sotto il sole. Devo infilare il montante e poi incollare il plexiglass secondo l'inclinazione della tuga.
Violanda tace ancora per un po', mi ruba un sorso di birra dal bicchiere, poi si tira i piedi sulla sedia, inclinando le ginocchia di lato.
- Puoi farlo domani mattina?
Ero sicuro che saremmo arrivati al punto. Violanda come un gatto che gioca col topo, mi ha lasciato correre per un po' per poi incastrarmi in un angolo. Non posso scappare.
- Domani.
Poi, anche per cambiare discorso attacco io.
- È un vero peccato non andare in crociera con questo tempo meraviglioso. È un vero peccato, d'altronde con Demetra così piccola non è davvero il caso di rischiare e poi abbiamo assoluto bisogno di riposare.
Violanda non raccoglie, non commenta, non risponde. Seguita a guardare un punto indefinito sul mare viola come il vino e con una mano sui piedi si stuzzica le dita. C'è qualche uccello notturno che canta nel bosco e qualcuno o qualcosa si muove nell'oscurità e si sentono movimenti tra le foglie e la vegetazione. Un alito di vento muove la fiammella della candela e porta ristoro e profumo del mare. Il sudore mi imperla la fronte nonostante sia ormai quasi mezzanotte.
- Già. Annuisce Violanda, ma è come se la sua voce dicesse qualcosa e la sua mente fosse da tutt'altra parte.
- Meglio andare a dormire, sennò domani la paghiamo.
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CAP. 4
L'indomani mattina, come d'accordo, sono in barca che ancora non sono le otto. I bambini sono in passeggiata e io dovrei cavarmela con un'oretta di lavoro. Come era da aspettarsi, i telai delle finestre, incollati qualche giorno prima di partire in fretta e furia, sono troppo lunghi, per cui mi trovo a modificarli con un seghetto a mano a bordo di Tomtom.
Non è facile lavorare sulla barca. Non ho un punto fisso su cui poggiarmi e reggermi, ma tutto sommato riesco a fare un discreto lavoro. Ho tagliato il plexiglass con il seghetto alternativo, prendendo le misure su una dima di cartone e ora si tratta di assemblare il tutto e incollare. Detesto il silicone, ma per ora mi devo adattare e il lavoro alla fine è convincente. Ho fatto abbastanza in fretta e il sole non è ancora impietoso, per cui riesco a sbrigare tutti quei dettagli che avevo lasciato da parte. Stamattina le previsioni hanno dato un colpo di bora per i prossimi giorni e una velocissima perturbazione, per cui, al contrario degli altri giorni, voglio lasciare la barca in ordine e ordinata, per non dovere poi stare alla finestra a guardare con apprensione le raffiche sul mare. Oggi è diverso dagli altri giorni. Forse è la pressione che sta cambiando, forse il vento in arrivo mi mette agitazione, ma voglio preparare per bene la barca. Cazzo bene le sartie, raccolgo meglio le vele. Preparo i candelieri e monto la battagliola. Lego definitivamente le barra del timone e con una piccola fitta al cuore, l'occhio mi cade sulla cicatrice ancora fresca, che però sembra essersi bene rimarginata. Ordino i gavoni e infine pulisco il quadrato.
Finalmente la barca è pronta.
Pronta per cosa? Non lo so, ma avere la barca ordinata, pulita ed efficiente mi fa stare meglio, come un bambino che ha finito tutti i compiti per la scuola.

Alla fine la bora è arrivata.
Ogni volta lo stesso rituale. La bora nel Quarnaro è come una vecchia amica, una presenza che rincuora. Il cielo è spazzato e il golfo è rigato dalle piccole ochette bianche che si sollevano e che movimentano l'acqua solitamente calma come quella di un lago. Anche la temperatura è cambiata. Ci voleva.
Si respira meglio, il cielo è terso e di notte si riesce a dormire. Il condizionatore è rotto, ma è meglio così. Lo preferisco. Al mare deve fare caldo. È come se immagazzinassi calore per il lungo inverno. Di notte, scoperto, aperto come una stella marina, devo cambiare il cuscino ogni poche ore, perché la fodera si infradicia di sudore. Però mi piace. Il ventilatore muove l'aria e qualche volta, quando è davvero troppo caldo, me ne vado in terrazza. Trangugio acqua frizzante a canna, dalla bottiglia. Ascolto i grilli e lascio che l'aria mi accarezzi la schiena. Il mare è calmo. Peccato non essere in crociera con un'estate così. Con un'estate così non vale neppure la pena pensare al ridosso, sembra tu possa dormire in mezzo al mare. Tuttavia con i bambini piccoli non voglio rischiare. E poi dobbiamo riposare.
La bora porta ossigeno, aria fresca, pulisce il cielo e rompe l'apatia da alta pressione. In spiaggia stamattina si stava bene e quando si usciva dall'acqua il vento faceva quasi venire la pelle d'oca. Mi butto sul divano dopo aver mangiato, Emir e Demetra dormono, Maya e Yanez giocano e io mi posso permettere di perdere i sensi.
Violanda è silenziosa. È sempre stata meteoropatica. La pressione sconvolge il suo umore e passa facilmente dall'euforia all'ira. Da qualche giorno è inquieta, parla poco, non scherza.

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