Guardo la foto della mia barca sullo schermo del computer, contornata dalle icone dei programmi. Quella foto che già qualche volta ho riprodotto nel blog. Il mare è azzurro con striature più chiare,lo scafo è illuminato dal riflesso dell’acqua, alle spalle la riva di un’ansa della costa sassosa come tutta la Croazia e coperta di alberi e piante basse quasi impenetrabili. Quest’anno resterà all’asciutto nella stalla deserta, altra barca mi porterà per mare, in Sicilia alle Egadi prima e poi alle Eolie. Isole bellissime, coste tra le più belle del mediterraneo: parti di mondo dove confondere ancora il presente con il passato, dove sentirsi vicini alle navi di Giasone e Ulisse un tragitto da amare e preparare nello spirito. Eppure vivo un disagio nascosto e quell’immagine lo rafforza ogni volta che appare quando muovo il mause e lo schermo prende colore. E’ il disagio di non navigare con la propria barca: quella che per un anno ha raccolto i desideri di uscita dalla rutine dell’andare e tornare dall’ufficio, quella a cui rivolgi l’idea della navigazione quando parli con gli amici, quella dove ti rinchiudi anche quando sei in città e fingi di perderti nel dondolio eterno del mare. La barca con cui passerò per quei posti è quella del mio amico Saverio: il GRANDE ZOT. Siamo cosi amici da sentirla nostra questa grande barca mentre navighiamo ma in un’angolo della mente i pensieri restano li a rammaricarsi di non essere in mare con la mia barca. Saranno comunque giornate di belle navigazioni ma sento che sto perdendo qualcosa.
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