E questa è la prima crociera.
Tarquinia, agosto anni '60.
La barca: il mio beccaccino, Anna S. (come nella miglior tradizione armatoriale dell'epoca, portava il nome della donna di famiglia, mia madre)
L'equipaggio: io me, e John mio bruno amico italo-afroamericano, lungo, magro come un'acciuga, un sorriso che spiazzava..
Il perché: voglia di provarci, e una fidanzata che villeggiava con la famiglia a Ladispoli, oggi 40 minuti d'auto, allora e oggi una ventina di miglia di mare, per SSE e poi SE.
Preparativi tanti, infiniti, fino ai pezzi di ricambio per il motore (!?), adagiato pericolosamente in pozzetto a tagliar piedi (di scarpe non se ne parlava..). Da una settimana facevamo e disfacevamo liste, accumulavamo e disponevamo cose a bordo per poi asportarne la metà, a scanso furti.
Il giorno previsto per la partenza, il meteo dava... che dava, chi lo sa? chi guardava il meteo? e poi dove? manco la tv avevamo, ti pare... Va be': era bel tempo.
Ma la partenza dal porto spiaggia - che c'è ancora, nelle vicinanze della foce del Marta - prevista per le 20, con la prima aria di terra, tarda a causa della pipetta della candela, che funzionava fino a ieri. Soluzione: furto, con bigliettino sulla barca di un amico: "alle 9 arriva la pipetta nuova" (santo papà, che avrebbe provveduto).
Ok, fuori, già stanchi ma eccitati. L'aria ci porta di lasco e subito la meraviglia della scia fosforescente, specchio di una via lattea vista poi raramente così piena e definita.
Dura poco, ma proprio poco: nemmeno un miglio, e piomba l'aria, e per scapolare la punta di Porto Clementino (corrente?) arriva uno scirocchetto scemo, ci vuole mezz'ora di bordi, con un guadagno reale di 50 metri su bordi di mezzo miglio. La deriva, maledetta, di ferro e pivotante, che aveva detto che era giù col solito rumore, richiede invece un intervento a colpi di tondino e mazzetta (sempre rigorosamente a bordo), e finalmente ci regala qualcosa che sembra bolina.
Ma sempre sui bordi... che da un certo punto in poi, risultano "bordi" occupati a turno da John, crollato precisamente sugli strozzascotte del fiocco (dove, altrimenti?). Ogni volta che stimavo di esser troppo fuori (un miglio?), svegliavo il povero ingombro con metodi sempre più bruschi, e viravo nei quattro secondi che mi consentiva prima di crollare sul nuovo strozzascotte.
Solo a fine bordi, grazie alla brezza che aveva deciso di cominciare a dar buono, ho deciso anch'io che poteva bastare: caffè caldo dal thermos, John finalmente risorto, alla barra.
E così fino a Capo Linaro, dove arrivammo finalmente con un bordo lungo, quasi lungocosta, con un marino debole debole, ma finalmente utile per avanzare.
Poi non c'è storia, se non che ci son volute 12 ore piene, l'arrivo forse la cosa più difficile pur con poca onda e aria di lasco - ma la deriva aveva deciso che stava bene giù - in mezzo alla folla di bagnanti che barche a vela non ne avevano forse mai viste così da vicino...
[un velo pietoso sull'accoglienza a terra da parte della famiglia della mia fidanzata: prenotazione in albergo, ospitati nella casa, pur grande, non se ne parla (fidanzati!!!), noi che ringraziamo educatamente, ma va benissimo la nostra tendina sulla spiaggia, accanto alla barca]
Il ritorno, solo il giorno dopo
, facile com un bicchier d'acqua, su brezza e mare a favore, c'è voluta la metà del tempo, il pluff della hull e il bagno finale, nell'acqua "di casa".
Ladispoli? Brrr...
Ricordo che la barca la disarmò mio padre, noi ne avevamo abbastanza.
Sempre nel ricordo di mio padre, conservo ancora la targa che fece incidere per noi per l'occasione.