Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
Oggi è 02/05/2024, 2:32

Tutti gli orari sono UTC +1 ora [ ora legale ]




Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 4 messaggi ] 
Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: insonnia
MessaggioInviato: 22/04/2012, 17:46 
Non connesso
Avatar utente

Iscritto il: 16/02/2010, 15:13
Messaggi: 3529
quando sono particolarmente orgoglioso di ciò che scrivo lo pubblico per ricevere i complimenti....non so se mi sono spiegato


Il mare stamattina è un olio. Luogo comune, banale, ma efficace. Nulla si muove e la giornata promette bene. Per tre giorni ha soffiato una bora impegnativa, ma poi è girata a maestrale e come dice Ljubo è sintomo di bel tempo stabile. È molto presto e il sole piacevole scalda la schiena senza bruciarla. Si alzerà la brezza tra qualche ora e veleggiare pigri, sarà un piacere. Il Velebit è bianco nella luce accecante dell'aria cristallina e il mare limpido lascia intravvedere sulla sabbia azzurra, tracce di vita silenziosa; granchi che si muovono, qualche riccio abbarbicato sui rari sassi, oloturie e qualche pesce che nuota 6 o 7 metri più sotto. Il paese e la riva sono deserti, troppo presto perché qualcuno si muova e scenda in spiaggia. Il silenzio è disturbato solo dal brontolio del fuoribordo che sputa fumo azzurro e borbotta in folle. Sulla coperta sporca e ancora umida dalla notte, solo io e gli avanzi della cena di ieri. Maya non si è ancora svegliata, e Violanda in cabina abbraccia Yanez. Guardo questo quadro meraviglioso attorno ancora per un attimo e mi perdo per un istante nell'azzurro tra gli scafi, dove si indovina il fondo. Tomtom galleggia immobile in mezzo alla baia, girando su stesso in assenza di una brezza che lo orienti da qualche parte, libero da qualunque vincolo, galleggia nel blu del golfo. In piedi sul quadrato, tra il bugliolo rovesciato e un sacchetto delle immondizie abbandonato ai piedi dell'albero, nudo, tremo come una foglia anche se il sole batte sulla schiena; la testa è un alveare. Metto mano alla barra del timone, accelero al massimo e dirigo la prua verso la testa del molo di cemento, lontana laggiù, dove tutto è cominciato. Nell'acqua piatta il catamarano acquista subito velocità e i baffi sulla prua si spostano sempre più indietro. In breve siamo oltre i sei nodi, il fuoribordo eroga tutta la sua potenza con la manetta al massimo. Dovrei accostare già da un pezzo, ma tengo la rotta. Dovrei anche ridurre la velocità e permettere alla barca di rallentare, ma la manetta resta bloccata al massimo. Ci avviciniamo sempre di più alla testa del molo.
Stavolta la spacco.
È finalmente la volta buona che la distruggo, l'affondo, la elimino per sempre.
Non mi interessa più nulla, voglio liberarmene.
Penso: dovrei pensare a quanto vi è costato metterla apposto.
Penso: dovrei pensare a quanto siete stanchi.
Penso: dovrei sapere che è solo rabbia e che tra un po' tutto sarà lontano, sciocco, insensato.
Lo so. Lo so, ma non ci riesco. Sento già il colpo, secco, sordo, che si trasmette a tutta la struttura, vedo ormai le schegge di legno uscire malamente dalla prua che ho resinato con tanto affetto.
Lo schianto è micidiale e percepisco perfettamente la torsione e il cigolio del legno sotto sforzo, come fosse la barca stessa a lamentarsi. Getto con tutta la mia forza la barra a dritta e la traversa batte con violenza contro la tuga, segnando il legno e rimbalzando indietro. I timoni cigolano sui perni, sotto la pressione delle barre, deformano leggermente le cerniere di alluminio. Godo nel sentire il lamento e provo l'angoscia di chi, appena compiuto un gesto orribile, realizza che ormai tutto è perduto e nulla sarà più come prima. Il senso caldo dell'orrore, dolciastro in bocca, come la confusione del dopo sbornia e l'amnesia di ciò che è stato. La barca è deviata dalla sua rotta devastante e i timoni, malamente buttati di lato, tracciano sull'acqua un cerchio che ci riporta di nuovo al largo.
Lo schianto mancato ha aumentato la mia frustrazione e l'immagine della barca in frantumi lascia una traccia di orrore dentro di me. Il molo si allontana a poppa, riduco i giri del motore e riprendo la traversa del timone correggendo la rotta e sollevando il peso delle barre, dai perni delle pale. Guadagno qualche centinaia di metri fino a che la barca galleggia nuovamente immobile, sopra la sabbia azzurra, 6 o 7 metri più sotto e il rumore del motore lascia spazio all'aria limpida e chiara e al Velebit bianco, sopra le alture spoglie di Pag, battute costantemente dalla bora.
C'è un ricordo che ogni tanto mi tormenta e che si fa vivo quando dentro di me si dividono due personalità, una razionale e fredda che dice di mantenere la calma, che la rabbia è solo passeggera e che non si può cedere alla cieca ira; l'altra che vorrebbe chiudersi in sé e provocare solo e soltanto odio, sofferenza e cieca violenza.
In uno dei periodi più bui e difficile della mia esistenza, quando una lunga stagione di depressione si era trasformata in esaurimento nervoso, vivevo in un luogo molto isolato, bellissimo, ma davvero solitario. Ero solito passeggiare a lungo tra i boschi e le montagne lì attorno, convinto che il movimento e il contatto con la natura potesse aiutarmi a guarire dal mio periodo tenebroso. Qualche volta portavo un cagnolino con me. Una sera mi spinsi oltre i sentieri che conoscevo a memoria, perché volevo vedere se fossi riuscito a trovare una traccia di cui conoscevo l'esistenza per sentito dire, che mi avrebbe poi collegato ad un altro sentiero per poi tornare a casa. In breve mi persi e dovetti ritornare su una pista battuta, scendendo tra intricata boscaglia e qualche salto di roccia. Al malumore costante che mi accompagnava da qualche mese, si aggiunse il nervoso per la situazione in cui mi ero cacciato, con il buio che scendeva, a dovermi districare tra i cespugli, con il cane al guinzaglio che sembrava fare apposta ad aggrovigliarsi tra i rami e che si bloccava per la paura quando doveva scendere qualche metro più ripido. Persi la testa e ricordo chiaramente che il cane divenne la causa di tutti i miei mali e su di lui sfogai la mia rabbia, trascinandolo per il collare giù per le scarpate o sollevandolo di peso per il collo, quando non seguiva i miei passi tra la boscaglia e il guinzaglio si annodava tra i rami. Ricordo l'odio che riversai sulla bestia, insultandolo e malmenandolo, e ricordo il suo sguardo, di incomprensione, inconsapevole di essere la causa di tutti i miei guai.
Credo sia stato quello il momento in cui sono guarito quando, guadagnata la strada nota, per un'altra ora camminai per tornare a casa, con il cagnolino che trotterellava al mio fianco. Ricordo, la rabbia, l'odio e poi la vergogna per come mi ero comportato con quel cane. Credo di aver capito allora come guarire dalla mia depressione e mai più mi ritrovai in quello stato profondo di frustrazione e impotenza.
Ogni volta che sto per cedere all'ira e alla cieca rabbia, gli occhi di quel cane mi guardano e provo vergogna.
Non so perché ora mi venga in mente quel cane, mentre accovacciato sopra la tuga, lascio che la barca smaltisca l'abbrivio e lentamente decida da che parte girarsi. Violanda esce dalla cabina col bambino in braccio.
- Voglio scendere. Facci scendere
Urla, e nella sua faccia sconvolta, leggo la mia stessa espressione.
Per tre giorni la bora ha flagellato la baia e per tre notti, nella cabina abbiamo trascorso la notte ascoltando le sartie fischiare, i colpi della cima dell'ancora sulla prua, dopo le violente accostate sotto raffiche oltre i cento chilometri all'ora, che arrivavano a far vibrare l'albero appoggiato in coperta e con lui tutta la barca. Stranamente Yanez in queste condizioni dorme meglio. Quasi il rumore dell'acqua sotto la chiglia e i violenti strattoni dell'abbrivio, bloccato improvvisamente dalla tensione della cima di prua, lo cullassero e lo facessero dormire meglio. Per noi invece riposare è impossibile. Non è la prima notte che passiamo insonne. Quella che sarebbe dovuta essere una piacevole vacanza di riposo si sta trasformando in un incubo. Ormai non conto più le ore di sonno che abbiamo perso. Sembra quasi una costante e spesso ci aggiriamo per la spiaggia o la pineta, come fantasmi. Siamo entrati in un circolo vizioso e siamo incapaci di reagire. Di giorno non siamo in grado di mettere appunto quei dettagli che ancora mancano alla preparazione della barca, che ora assomiglia più a un relitto piuttosto che a quel magnifico catamarano che dovrebbe essere. È sporca, in disordine, molte parti non sono ancora verniciate, non ho montato un'adeguata protezione al vento, alcune legature non sono completate e un pezzo del quadrato centrale e male berciato e aspetta da tempo manutenzione. Dopo le corse delle prime due settimane per terminare i lavori è come se si fossero esaurite le pile e la carica sia ormai impossibile da ripristinare. Yanez è un bambino che dorme molto poco, questo è vero, ma non è solo a causa sua se stiamo svegli. Spesso siamo stati tormentati dalle zanzare, un'estate balorda, con molte giornate di vento e di pioggia, ci ha spesso obbligato a veglie notturne e a cosa si è sommata cosa. Quando Yanez si addormenta all'ombra della pineta, qualche volta anche noi ci abbandoniamo sul letto del nostro furgone, ma non è mai un riposo pieno e ristoratore. Svegliarsi dopo una mezzora di sonno scomodo e disturbato peggiora l'umore. Vicini all'esaurimento, abbandoniamo la barca al corpomorto e chiediamo all'amico Ljubo di dargli un occhio. Decidiamo di passare una settimana nell'entroterra a riposarci un po', ospiti del fratello di Violanda. Trascorriamo ore di pioggia, per una volta ben accetta, sul divano di casa o nell'acqua calda della piscina termale di Daruvar, ma tornati alla barca il ciclo si innesca nuovamente. A causa della mia ansia voglio arrivare la sera stessa a Pag, così partiti da Pakrac, forzo le tappe e passiamo il traghetto che conduce all'isola quando ormai è buio. I negozi sono chiusi e Yanez deve dormire. Si addormenta in furgone, saziato per fortuna con il latte della madre. Per gli altri non restano che qualche sacchetto di patatine e un paio di birre tiepide. Siamo nuovamente tormentati dalle zanzare e mentre veglio per proteggere la mia famiglia dai famelici insetti, continuo a pensare al fresco campeggio sul Velebit, dove Violanda insisteva per fermarsi a dormire. Alle prime luci dell'alba Yanez è sveglio e Violanda stravolta. Io non ho dormito neppure un minuto, ma sono talmente drogato di sonno da non riuscire a chiudere occhio. Per concedere un po' di requie a Violanda, carico il bambino sul carrozzino e comincio a camminare. Supero Kosljun e mi avventuro sul lungo rettilineo sotto il sole, tanto è presto e Yanez è protetto dal tendalino. È come se le gambe fossero ormai autonome e si muovessero libere dalla mia volontà, come se potessi camminare per sempre. Le ruote del carrozzino macinano chilometri di asfalto e continuo a guardare il mare, il nostro Tiki ormeggiato al centro della baia, le isole lontane, di cui tanto abbiamo letto e che mai raggiungeremo. Camminare ormai è come un delirio, non sento stanchezza, non sento caldo, non sento il sudore che inonda la schiena e la fronte, non sento dolore. È come se fosse un altro a camminare e io fossi altrove. Per tre ore e per oltre 13 chilometri, ho spinto il carrozzino, mentre Yanez, ogni tanto mi indicava una barchetta con le vele aperte nel riflesso del sole sul mare. Tornato al furgone crollo e Violanda riprende nuovamente la gestione del bambino. La stanchezza ci ha come cambiato, come reso incapaci di reagire a qualunque stimolo e siamo diventati apatici e insensibili e soprattutto incapaci di ragionare. Non siamo più lucidi, ecco perché tutto sembra non funzionare. Solo perché non abbiamo la capacità di razionalizzare. Quando leggo il portolano mi sembra di essere ubriaco e non riesco più a capire dove è il sud e dove il nord. Quando navighiamo, qualunque rumore o nuvola all'orizzonte mi fa perdere la testa, entro in paranoia e la mente si riempie di fantasmi.
Ho paura, ansia, incertezza, paranoia.
Una notte mentre bivacchiamo su un molo di cemento, tutti insieme dentro una tenda da campeggio, che abbiamo montato per la notte affianco alla barca, sono svegliato di soprassalto da qualcosa che mi è saltato sulla coperta, probabilmente una cicala. Mi sembra di sentire rumore sotto la tenda, come se qualcuno masticasse il cemento. Alzo il mio materassino e scopro che la tenda è invasa da granchi che sono entrati, probabilmente attirati dal calore dei nostri corpi. Niente di grave né di pericoloso, ma per qualche minuto mi interrogo se sia reale quello che sta accadendo o non sia frutto della mia immaginazione, quasi vivessimo in un sogno. Violanda, disturbata dal mio cercare, si sveglia e quando le indico i granchietti, si alza inorridita
- mangeranno il bambino.
Ma figurati, però la scena è davvero surreale e cerco di cacciare gli animaletti dalla tenda che si infilano sotto i materassini per cercare buio e protezione. Non li voglio certo uccidere e penso agli occhi del cane. D'altronde loro erano qui prima di noi. Yanez continua a dormire e io esco a guardare la luna specchiata nel mare calmo e le crepe del Velebit, coperte come da una glassa, che la luce della luna rende quasi fluorescente, nell'aria incredibilmente trasparente.
È strano come di notte diventi reale quello che di giorno appare ridicolo. Da ragazzino, lavoravo d'estate in un rifugio ai piedi del Civetta. Trascorrevo 3 mesi lassù. Ogni estate, oltre i 2000 metri di quota e a non meno di due ore di cammino dalla più vicina forma di civiltà. Qualche volta, finito il servizio serale, scappavo per andare a trovare le ragazze che lavoravano nel rifugio vicino. Mi ci voleva un'ora di strada per andare e un'altra per tornare e qualche volta arrivavo a spingermi fino al paese a bere una birra. Tornavo indietro a notte fonda, senza pila, perché conoscevo i sentieri, sasso per sasso. Ricordo perfettamente il fascino che esercitava la notte all'ombra del Civetta. Nel buio ogni cosa sembrava prendere vita e quando mi fermavo a prendere fiato, la voce possente della parete sopra di me, faceva sentire incombente tutta la sua presenza. Così, con il peso del corpo appoggiato su un ginocchio, era facile credere vere le storie che mi raccontavano da bambino e ogni ombra sembra poter acquistare consistenza e animarsi di vita propria. Quando il ritmo del respiro si calmava e non invadeva più il mio torace, la notte diventava viva e la possente voce della parete, presenza reale.

Mi abbraccio le ginocchia e lascio vagare i pensieri tra quello che sta accadendo. Il malocchio, gli dei contrariati, la maledizione. Mi torna alla mente la sera in cui è caduto il Buddha custode, dalla testa d'albero di Maruzza e il lamento di quella notte all'isola delle Arpie. Guardo il nostro catamarano, sporco, in disordine, cui non abbiamo dedicato affetto. Poi il motore che non si accende, il gruppo elettrogeno che non ha mai più funzionato, l'angoscia che mi accompagna ogni volta che alzo le vele e il maltempo che sembra perseguitarci come la nave dell'Olandese Volante. Mi volto a cercare i granchi che sono usciti dalla tenda attirati dalla luce della mia frontale. I granchi. Mostri d'acqua che invadono la nostra tenda e il rumore delle loro zampe sul cemento è tutto ciò che si può ascoltare nella notte buia, illuminata dalla luna. Torno nella tenda e cerco qualche ora di sonno inquieto. A svegliarmi nuovamente non sono i granchi e nemmeno il pianto di Yanez. È una folata di vento sulla tenda che piega i montanti. Apro gli occhi e cerco di capire cosa succede, nella luce incerta dell'alba. La seconda folata abbatte la tenda fino a terra e in un attimo sono in piedi, fuori sul molo. Non sono lucido, non ho prontezza di riflessi. La bora, di nuovo. Avevano dato bello stabile. Già, quando però, l'ultima volta che hai consultato il bollettino, tre giorni fa. In un attimo mi torna alla mente l'immagine del Velebit stanotte, mentre pensavo ai granchi: la glassa quasi fluorescente che incappucciava le cime dietro Pag, l'aria tersa, limpida, cristallina, le stelle brillanti quasi di luce propria. Certo, evidente, come ho fatto a non pensarci. Sveglio Violanda: dai svelti in barca. Cerco di smontare il campo più in fretta possibile e piego la tenda tra una raffica e l'altra, mentre raccolgo le ultime cose, bisbiglio tra i denti preghiere. Ancora qualche minuto ti prego, solo qualche minuto. Salto in barca e guardo il motore. Stavolta non puoi tradirmi. Stacco il tubo del serbatoio, mi inginocchio, tiro l'aria, parlo piano col motore. Poi tiro l'accensione e in una nuvola di fumo azzurro, al primo colpo lo Yamaha romba conscio ed orgoglioso del suo impegnativo ruolo. Devo giocare con l'ancora per levarmi dal molo dove la bassa marea ci ha incastrato, ma in pochi minuti riesco a conquistare fondo e manetta al massimo si va in cerca di riparo. Conquisto mare contro vento in cerca di rifugio e continuo a parlare piano col motore perché non si spenga, mentre penso a come diavolo ho fatto a non pensare alla situazione imbarazzante in cui mi sono incastrato. Poca lucidità, assenza di analisi. Stanchezza, soprattutto tanta stanchezza. Non sarebbe mai più accaduto.

Il catamarano non ha ancora deciso quale direzione scegliere e si imbarda lentamente, smaltendo l'abbrivio. Io lascio fare, e mi rimetto seduto con la testa tra le mani a contemplare la sabbia azzurra tra gli scafi. Come è potuto accadere, come è stato possibile arrivare a questo punto. Sono stranamente lucido e rilassato. È come se osservassi tutto dall'esterno, come se ogni cosa accadesse ad un altro. Possibile che sia divenuto tutto così poco importante. Quante volte abbiamo parlato della sabbia azzurra tra gli scafi, a letto, dopo l'amore.
Violanda è perentoria - facci scendere ti ho detto.
La guardo ancora in faccia, cianotica, stravolta dalla notte passata in bianco. Non sono sufficientemente lucido per accostare al molo di cemento. Mi viene da piangere e non so più cosa fare. Stamattina sembrava essere la giornata ideale per dare una svolta alla nostra fase di stasi. La bora è finita, girata a maestrale. Yanez stanotte non ci ha lasciato dormire e guardando fuori dall'oblo della mia cuccetta decido di salpare. Cambiamo isola, cambiamo acqua, cambiamo aria. Metto mano al portolano, per scegliere una destinazione, ne parlo con Violanda, neppure io sono tanto convinto. Non sono più convinto di nulla ormai, ma dico che non possiamo passare un'altra giornata a passeggiare in pineta sperando che Yanez ci lasci riposare qualche ora. Violanda ha passato buona parte della notte nel tentativo di addormentare il bambino, la restante parte a cercare di dormire schiacciata nell'angusta cuccetta che divide con Yanez per lasciargli spazio. Non si può dire che sia proprio di buon umore stamattina, ma mi sforzo di farla andare bene. Ipotizzo un paio di destinazioni, ma Violanda non sembra entusiasta.
-Fai quello che vuoi.
Descrivo una serie di proposte di itinerario, leggendo a voce alta le relazioni del portolano e della guida.
-Fai quello che vuoi ti ho detto.
Tento un'ultima volta, forzandomi di essere accattivante e di buon umore.
-Non mi interessa nulla. Fai quello che vuoi.
La misura è colma. L'insonnia, il delirio di stanchezza, mi fa dire ciò che non vorrei. Perché Violanda non si sforza di essere un po' più carina con noi, perché risponde sempre male, perché non mi aiuta.
Per lei lo sforzo è doppio del mio, perché la gestione del bambino tocca quasi esclusivamente a lei, nonostante mi sforzi di esserle accanto. La stanchezza, l'esaurimento per lei è doppio che per me.
Non riesco più ad essere razionale, esco sul quadrato e l'unica cosa che voglio è distruggere la barca e tornare a casa. Abbiamo oltrepassato il limite. Metto in moto il fuoribordo, cerco la direzione verso cui indirizzare la prua per raggiungere l'isola di cui ho letto sul portolano. Sciolgo il corpomorto, ma non capisco più se devo dirigermi a nord o a sud, guardo la barca in disordine, mi siedo e tremo come una foglia. Basta. Ora è davvero ora di tornare a casa.

_________________
Piccolo è meglio


Top
 Profilo  
 
 Oggetto del messaggio: Re: insonnia
MessaggioInviato: 22/04/2012, 18:35 
Non connesso

Iscritto il: 15/11/2009, 16:44
Messaggi: 2843
La cena di ieri era troppo pesante? o era la compagnia?
:? :? :( :(
Mi sa che l'ho detta grossa....


Top
 Profilo  
 
 Oggetto del messaggio: Re: insonnia
MessaggioInviato: 22/04/2012, 19:01 
Non so con cosa abbiate affumicato il merluzzo...comunque mi ha tenuto col fiato sospeso fino alla fine...


Top
  
 
 Oggetto del messaggio: Re: insonnia
MessaggioInviato: 23/04/2012, 9:34 
Non connesso
Avatar utente

Iscritto il: 22/11/2009, 10:47
Messaggi: 1255
Il racconto: come con le stelle nel cielo ed i campi, spazzati del vento, a sostituire un mare che non c’è. La voglia di essere sul ponte di una barca, invece che nella pianura che odora di acqua. Davanti alla porta di casa e realizzare che l’unica cosa che farai all’alba è il tragitto verso il posto di lavoro………..


Top
 Profilo  
 
Visualizza ultimi messaggi:  Ordina per  
Apri un nuovo argomento Rispondi all’argomento  [ 4 messaggi ] 

Tutti gli orari sono UTC +1 ora [ ora legale ]


Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 13 ospiti


Non puoi aprire nuovi argomenti
Non puoi rispondere negli argomenti
Non puoi modificare i tuoi messaggi
Non puoi cancellare i tuoi messaggi
Non puoi inviare allegati

Cerca per:
Vai a:  
Powered by phpBB © 2000, 2002, 2005, 2007 phpBB Group
Traduzione Italiana phpBB.it