sempre un po' a caso:
Il motore
Yamaha 8 cv, gambo lungo nero. Classe 1972. E' il nostro motore. O meglio, lo era. Ora appartiene a Timmy d'Albania, che gli metterà le mani e diventerebbe così il nuovo, si fa per dire, fuoribordo del suo gommone. No, non è come tutti pensano, Timmy non fa lo scafista, anche se con quel ceffo potrebbe benissimo darlo a credere. A Timmy piace pescare e si diverte a portare a spasso la moglie per il mare di Caorle. Timmy non lo ammetterà mai, ma è un romanticone. Sono molto felice che quel motore possa accompagnarlo nelle sue gite a pesca. Fosse per me, sarebbe già sul fondo del mare da tempo. Parlo del motore, non di Timmy. Diciamo che in realtà, forse sono un po' ingiusto. Non si è mai comportato male con noi durante la prima crociera. Appena arrivati in Croazia, lo abbiamo portato a sistemare da un meccanico. Il meccanico, un tipo singolare, per tre giorni lo ha ignorato. L'officina era vicina ad un bar, come spesso accade in Croazia e se volevi parlare con il meccanico era al banco del bar che dovevi andare e lo trovavi quasi sempre dietro una cola-whisky. Il primo giorno ci disse di tornare il giorno successivo. Il giorno successivo il motore era nella stessa identica posizione in cui lo avevo lasciato. Il meccanico anche. Quando ci avvicinammo per chiedere notizie del nostro motore, il meccanico ci guardò con un attimo di indecisione. Era ovvio che si stava chiedendo se mentire clamorosamente oppure ammettere che non sapeva di cosa stessimo parlando. Optò per la seconda e più onesta scelta e candidamente ci rispose – di che motore stiamo parlando? Aprezzammo l'onestà e la promessa che per il giorno successivo, il motore sarebbe stato sicuramente pronto. Il giorno successivo, l'officina deserta e il meccanico al bar. Questa volta, però sapeva di che motore stavamo parlando. Notammo con piacere un deciso miglioramento nella questione motore. Semplicemente doveva ordinare un pezzo, che sicuramente sarebbe arrivato il giorno successivo. Sicuramente? Non c'è ombra di dubbio. Il giorno successivo, officina deserta e nessuna traccia del meccanico neppure al bar. La barista ci confermò che il meccanico si era dovuto recare in Bosnia per un funerale. Due giorni dopo, al quinto giorno consecutivo, il meccanico non c'era né al bar né in officina, ma il motore era pronto. Una sciocchezza ci confidò un ragazzo che aggiustava gli scooter lì vicino. Mi ero stufato di avere questo fuoribordo sempre tra i piedi in officina, l'ho smontato, gli ho girato la pompa, e adesso è un gioiellino. Naturalmente lasciammo una cola-whisky pagata per il meccanico al bar. Da allora mai più un problema. Qualchevolta ci ha fatto sudare freddo. A Lopar, mentre ritornavamo alla base e Violanda boccheggiava sotto il sole già entrata nel nono mese di gravidanza, improvvisamente si è rifiutato di pisciare acqua, ma tossiva fumo. Ho continuato a bagnarlo tenendo le dita incrociate e ostendando noncuranza, per non preoccupare Violanda e non dare soddisfazione al motore. Alla fine, siamo rientrati in porto e senza grandi problemi. Qualche giorno dopo ci ha spinto a casa per 40 miglia ininterrotte, senza mai dare segni di stanchezza. Alla fine della crociera lo abbiamo smontato dalla barca, lo abbiamo messo nel bidone di acqua dolce per lavarlo e lì si è rifiutato di accendersi. Ci ho provato delle ore, ci ha riprovato il meccanico del cantiere, ma non c'è stato niente da fare. Il motore in acqua dolce si rifiutava di funzionare. Decidemmo che la pensione se l'era meritata e passò quello che sarebbe dovuto essere il suo ultimo inverno sotto Tomtom, lasciandosi lentamente corrompere dalla salsedine. Per l'anno successivo sicuramente avremmo avuto modo di comprarne uno nuovo. Non serve raccontare che ovviamente, come sempre accade, l'anno successivo avevamo meno soldi di quello precedente. Così dopo affannosa ricerca un amico ci regala un suo vecchio fuoribordo. Purtroppo questo era gambo corto e oltrettutto metterlo apposto sarebbe costato più che comprarne uno usato. Decidemmo quindi di rimettere in funzione il vecchio Yamaha, che ormai convinto di essere in pensione, si ritrovò nelle mani del meccanico, che gli fece la revisione e per giugno, il nostro Yamaha era pronto per portarci nuovamente in giro per il mare croato. E così è stato. Più o meno. Subito mi sono reso conto che il motore piscia acqua solo a determinati regimi, ciononostante durante il lungo trasferimento Krk-Pag, ha funzionato per 13 ore ininterrottamente. Appena arrivati a Kosliun, decidiamo di fermarci lì per qualche giorno. Un po' sentiamo la pressante necessità di riposarci e dormire, un po' ci sono dei nostri amici e soprattutto degli amici con cui Maya può giocare in spiaggia, un po' il maltempo ci sorprende con vento, freddo e pioggia, cosa inusitata nella calda estate di Pag. Non lo dico, ma continuo a pensare a quegli scongiuri che abbiamo dimenticato al varo di Tomtom. Passeremo quasi due settimane di inattività. Durante questi giorni, organizziamo delle piccole uscite in barca, per riprendere la mano sulle vele e per permettere ai nostri amici di godere delle gite in barca a vela. Il primo giorno, nessun problema e posso vantarmi delle mie doti di capitano, scorrazzando un pomeriggio intero le signore e i loro figli, tra la baia di Kosljun, quella di Povljana e la vicina isola di Vir. Ma il dramma sarebbe dovuto accadere il giorno successivo. Visto il successo della prima uscita in barca decidiamo per il giorno successivo di organizzare una gita un po' più lunga, magari con annesso picnic in una spiaggia vicina. Tutti pronti sul molo alle undici di mattina. Sono contento di questa idea. Mi piace l'idea di portare i nostri amici a spasso con il nostro catamarano. Credo che nell'intimo ogni armatore sogni di far conoscere la propria barca agli amici e preveda nella scelta degli accessori o addirittura della stessa barca, l'eventualità di poter ospitare qualcuno, eventualità che mai si realizza perché non sempre ciò che piace a noi deve necessariamente piacere ad altri. Ci si riduce addirittua a perdere amicizie o a essere evitati al bar, e ci ri arrenede solo quando si percepisce la gomitata che si scambiano gli avventori, accennandosi appena sottovoce – Ecco il logorroico, mi raccomando, non accennare neppure ad un argomento che riguardi la nautica sennò attacca con la filippica. A noi è capitato addirittura di ospitare con entusiasmo parenti, che non avevano capito che su un catamarano di 8 metri non c'è, non dico un bar serio, ma neppure un cesso. Il fatto poi che ci si debba togliere le scarpe per salire a bordo poi è a dir poco seccante. Oggi quindi è con un po' di amor proprio edi soddisfazione che ospitiamo gli amici per una scampagnata in mare. Tutti pronti, saltiamo sulla barca, stiviamo asciugamano, borse, giocattoli, palloni gonfiabili già gonfi, indumenti, pinne, maschere, retini, 6 flaconi di crema protettiva, 1 cassa di birra, due bottiglie di prosecco, felpe per il vento che non si sa mai, braccialetti per il mal di mare, sandali per gli scogli, vettovaglie e altre tonnellate di indispensabili inutilità. Dispongo una postazione per ognuno e come un vero capitano impartisco le istruzioni. Tutti pronti si parte. È qui che inizia lo psico-dramma motore. Aria, cicchetto, avviamento e non succede nulla. Nessun problema, ripeto l'operazione con ostentata noncuranza: aria, cicchetto, avviamento una, due, cinque, dieci volte. Il motore neppure accenna ad accendersi. Si sarà ingolfato, riprovo, e ancora e ancora. Niente. Ci riprova Bocca, niente. Ci riprova Alessio, niente. Il motore non parte. Provo a vedere se non siano per caso le candele. Le smonto, le pulisco, riprovo, niente. Gli ospiti intanto cominciano a dare segni di insofferenza, anche perché si è quasi fatto mezzogiorno e il sole picchia duro. I bambini cominciano a chiedere, ma perché non partiamo e all'ennesima richiesta di spiegazione sulla mancata partenza, mi giro come una iena e con apparente calma ringhio – perché questa merda di motore non parte, ecco perché, cazzo. Violanda capisce che forse è meglio invitare gli amici a ripararsi nella pineta mentre io cerco di sistemare la situazione. Smonto il motore, lo rimonto, lo imploro, lo minaccio, lo supplico, ma non succede niente. Il motore non dà segni di vita. Dopo un paio d'ore di tentativi, sfiancato dalla fatica e dal caldo, mi rassegno a portare il motore nel giardino dei nostri amici e qui, per i due giorni successivi le tento tutte. Niente da fare. Motore fuori uso. Come regalo di nozze Violanda e io avevamo ricevuto, tra le altre cose, un fuoribordo elettrico, che sarebbe dovuto essere la propulsione del piccolo tender. Durante la scorsa crociera ci eravamo resi conto della necessità di avere un piccola imbarcazione di servizio, ma ci siamo anche resi conto che il piccolo gommoncino gonfiabile “Explorer”, costato la bellezza di 8 euro, non era più adatto alle nostre necessità. Ci siamo quindi dotati di un vero tender, lunghezza 185 cm, con annesso fuoribordo elettrico. Dopo aver tentato innumerevole volte di rianimare il motore principale decido che per salvare la crociera il fuoribordo elettrico diverrà il motore principale. La mattina, nell'acqua placida della baia, proviamo le prestazioni del fuoribordo, che spinge il nostro catamarano a due nodi e mezzo. Non potremo certo percorrere tutto l'Adriatico a motore, ma d'altronde la nostra è una barca a vela e ai marinai veri il motore non serve. Ai marinai veri no, ma a noi...lo stesso pomeriggio decidiamo di organizzare una gita in barca, ma le mamme e i bambini questa volta non vengono. Non ho capito se la decisione sia stata presa per sfiducia nelle capacità del motore oppure se avessero paura che rispondessi male nuovamente. Tant'è che ci troviamo sulla barca solo in quattro, anche Violanda decide di passare il pomeriggio in spiaggia. Dovendo armare la barca da solo, non potendo e non volendo chiedere l'aiuto di nessuno, preparo le vele con la barca ancora ormeggiata. Una volta mollati gli ormeggi, mi basterà issare fiocco e randa e in un attimo la barca sarà pronta a veleggiare. Tutto è pronto, faccio salire l'equipaggio, attacco la batteria al fuoribordo e mollo gli ormeggi. Passano solo pochi istanti, appena la barca ha levato la prua dal molo, il motore si rifiuta di girare. Riprovo a inserire la marcia, ma non succede nulla e il vento ci sta spingendo direttamente sulle altre barche. In un lampo valuto la situazione e considero se lanciare l'equipaggio a prua a bloccare la collisione con le altre barche. Impossibile. Idiota, la tua è una barca a vela, non ti serve il motore. In un istante la randa è issata, il vento esattamente in poppa accelera la barca che ora può manovrare, orzo deciso e il catamarano sfiora le altre barche ed entra nella piccola baia, continuo ad orzare fino ad arrivare alla bolina. Spero solo di riuscire a disegnare un bordo abbastanza stretto da poter uscire dalla baia, perché senza fiocco non riuscirò a virare. Sussurro a Tomtom – stringi, dai stringi: Tomtom afferra al volo la situazione e senza farsi pregare offre il meglio di sé, e tutte le altre barche ormeggiate nella baia rimangono sottovento, la lingua di terra che chiude l'entrata della rada sfiora la chiglia e finalmente posso allargare l'andatura e respirare. Nessuno a bordo si è reso conto della brillante manovra. Un po' mi dispiace, ma mi rallegro di avere una randa alare, che può essere issata anche col vento in poppa e un pescaggio che permette di fare la barba alla costa. Riamniamo fuori per un po' attendo che scenda la sera e il vento si calmi, poi rientro nella baia con gli ultimi refoli, pagaiando, per ormeggiare al molo (...)
_________________ Piccolo è meglio
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