PULA Loc. Uvala Valleovina
I barlumi del fuoco mandano ombre sugli scogli della spiaggia e rendono ogni cosa ancora più spettrale. La barca è tirata in secco poco distante ed è coricata su un fianco, mentre una lenta risacca lambisce la sua poppa. Prima di stendermi vicino al fuoco l'ho accarezzata piano sulla prua. Lo faccio sempre prima di coricarmi, tocco la grossa trave della chiglia, appena sotto la polena. È strano, ma ogni volta che tocco quella trave è come se un brivido freddo mi passasse per la spina dorsale, una vibrazione, un contatto. Lo stesso gesto con cui i pastori accarezzano le loro bestie dopo averle munte, grati per il latte che la bestia ha loro donato. Anch'io sono grato alla mia nave e mi sento legato a lei da un filo sottile, ma indissolubile che avvolge me e lei, per l'eternità. Nessuno dei miei compagni ha voglia di parlare stasera. Oileo passa l'olio sulla sua ferita alla spalla, che gli da sempre problemi, soprattutto alla sera, dopo aver remato tutto il giorno. Laerte fissa il fuoco in silenzio, mentre regge in mano un cratere colmo di vino di Pramno allungato con l'acqua. Quel vino lo porta sempre con se e ne beve una coppa ogni sera. Sostiene che quel vino lo tenga in vita e che abbia proprietà prodigiose, ma secondo me l'unica proprietà magica del vino è quella di ricordargli il suo orto, il suo vigneto lontano, dove il suo unico figlio correva scalzo mentre lui lavorava la terra. Un eroe, un wanax che lavora la terra come fosse un bifolco. Stasera la sua coppa rimane piena e nel fuoco che lampeggia forse vede il sole della sua isola da cui per tanto tempo è mancato e nel crepitio della legna, forse sente il riso del suo bambino che oramai sarà quasi un uomo. Persino Orfeo non ha voglia di suonare stasera e il suo strumento rimane avvolto nel panno sotto il suo banco di voga. Il suo canto era in grado di sedare gli animi e una volta ci salvò da un massacro, quando completamente ubriachi ci stavamo scannando gli uni con gli altri senza motivo. Non appena mise mano alle corde, tutti ci zittimmo immediatamente e rimanemmo incantati ad ascoltare il suo canto. Le mani già strette attorno all'elsa, già pronte al massacro, si bloccarono e le tempie smisero di pulsare. La notte in cui il sangue cessò di sgorgare dalla ferita di Idmone, sulle sponde del fiume Lico, e la sua lunga agonia cessò, alti lamenti si alzarono dal nostro campo per tre giorni consecutivi, mentre la chera lo trascinava nell'Erebo e le fiamme si levavano dalla sua pira verso il cielo, illuminando le rocce con ombre spettrali. Proprio come stasera. Eppure neppure allora i compagni tacevano e sembravano così lontani come stasera Medea è vicino alla nave. In piedi, si regge il peplo macchiato di rosso, con le braccia avvolte sotto il seno e guarda il mare. So cosa sta pensando. Lo so. Anche se oramai il demone della magia si sta impadronendo di lei. Lo vedo nei suoi occhi. Gli specchi chiari in cui un tempo si rifletteva la mia immagine si stanno trasformando in pozzi scuri, dove si perde l'abisso della follia. Lo sa che a causa sua siamo qui. Sa che è causa sua quello che è accaduto. Sa, che molti di noi sono perduti a causa sua. Lei ha ordito il massacro. Lei. Sono io quello che più di tutti ha in bocca il gusto dell'orrore, del sangue che ho sputato dopo averlo leccato dalla sabbia. Sono io che ho nelle orecchie i colpi secchi che troncano braccia, ossa, gambe. Io quello che ha compiuto il gesto, come un macellaio che scanna un toro e ha trasformato un ampio golfo di mare, in un un'orribile pozza di sangue, in un Carnaio. Solo io quello che ha assistito al prodigio di vedere isole e dorsi di roccia, sorgere dall'acqua, nati da brandelli e tocchi di carne umana precipitati sul fondo del mare. Bianchi sassi invece di ossa, boschi invece della carne, lagune invece degli occhi. Isole invece di Apsirto. Il soffio di Borea ci trattiene qui da tre giorni. Neppure la forza di Eracle nulla ha potuto contro l'ira di questo vento, che fa il mare pescoso, bianco di spuma. Quasi gli elementi si fossero infuriati per l'orrido massacro. Sembra ieri che sfidai i miei compagni in una regata per vedere chi vogasse più a lungo ed Eracle spezzò il suo remo dopo che io crollai sfinito per lo sforzo. Eppure contro questo vento neppure la sua forza nulla ha potuto. Abbiamo trovato rifugio in quest'ampia baia. Protetta dal mare e dal soffio di Borea e un dio ha fatto sgorgare una fonte copiosa, conforto di ogni marinaio. Appena sbarcati sulla spiaggia di questa baia sono crollato in ginocchio e ho infilato le dita nella sabbia. La stessa sabbia da cui uscivano i guerrieri che sembravano inghiottiti da Gea nella Colchide. Ho accarezzato la mia nave, Argo, che per tante miglia ci ha accompagnato e che qualche volta sembra la mia nemesi. In questa baia accogliente ho deciso di fondare una città, la città dei fuggiaschi, la città dei derelitti, degli esuli, dei Polai, Πόλα.
Le cronache antiche di Callimaco e di Strabone sembrano essere concordi che il toponimo Pola derivi da una voce greca o illirica che si rifarebbe all'etimo di esuli, proprio in riferimento ai fuggiaschi, che a bordo di Argo trovarono scampo dalla furia del padre di Medea, mentre l'etimo di Quarnaro sembra derivare da carnaio, proprio in seguito all'episodio in cui Gisaone getta in mare gli arti mozzati del fratello di Medea. Il mito è naturalmente quello degli Argonauti, spedizione navale di un manipolo di Achei, che si recò fin nella lontana Colchide, in Asia minore, per razziare il mitico vello d'oro. Il vello probabilmente fa riferimento alle pelli d'agnello che i sudditi di Eete, padre di Medea, stendevano sul fondo del fiume Kura, per catturane la polvere d'oro. Una delle infiniti varianti del mito degli Argonauti vuole che Giasone, lo skipper di Argo, portasse con sé la principessa Medea, figlia di Eete e che, inseguito dal fratello di Medea, Apsirto, abbia percorso tutto il Mediterraneo e risalito l'Adriatico in cerca di fuga. Qui, dove finisce il mare, Medea avrebbe teso un tranello al fratello che la cercava attraverso i mari e, trascinatolo in una trappola, lo avrebbe fatto massacrare da Giasone, che una volta ucciso ne avrebbe leccato il sangue e amputato gli arti. Gli dei, inorriditi dallo scempio del cadavere, faranno nascere le isole di Krk, Cres e Losjin, proprio dove è stato gettato in mare il corpo di Apsirto e tante piccole isole e scogli, quante le gocce di sangue sputate in mare. Gli argonauti trovarono ridosso in un 'ampia baia dove sgorgava un fiume e lì decisero di fondare un accampamento, che proprio dal loro destino di fuggiaschi prese il nome: Polai: Fuggiaschi, da cui Pola. Pola è forse più famosa per la dominazione romana che le ha lasciato in omaggio una splendida arena, ma la sua origine mitologica continua a colpire gli storici, tanto che lo stesso Strabone precisa che nel ampio porto di Pola, i naviganti trovano rifugio e abbondante acqua dolce. Nel terzo millenio Pola è la “capitale” dell'Istria, ma i suoi famosi querceti sono stati sostituiti da una vegetazione incolta e da un inurbamento, qualche volta poco rispettoso. Tutto sommato è possibile trovare ormeggio nelle baie vicine alla città e vale la pena dedicarci un pomeriggio per tuffarsi nella mitologia e nella storia delle sue antiche radici, perse tra la Colchide, Roma e Venezia
POLA (PULA) Loc. Uvala Valleovina Siamo al di fuori della baia di Pola, ma vicinissimi alla città (taxi e bus). Ci siamo fermati qui alla cieca, attratti dal campeggio, per poi scoprire che in spiaggia ci sono docce e bagni pubblici gratuiti, sull'istmo che collega la città all'isolotto, (oltre al camping stesso, con relativi market, acqua e docce- bagni, ma in clandestinità). Dato àncora su fondale di 3-4 metri, giusto in mezzo alla baia, non ottimo ma discreto tenitore. Appena ad Est di questa baia, al di là dell'istmo, ce n'è una seconda, alquanto più riparata ma più affollata.
manca la scheda tecnica e non ho riletto il testo, ma mi si chiudono gli occhi.
comunque pensavo una cosa così. che dite?
domani procedo con un'altra scheda se i bambini stanno buoni.
sempre in attesa di commenti........notte
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