Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 10:52 
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Jocondor ha scritto:
Benvenuto nella discussione, Luca, tu sei uno che notizie ne ha.
Però la scheda che proponi a me proprio non piace

Dico la mia: si f..ta la scheda tecnica.
Dico che il racconto degli Argonauti è splendido e da solo vale la lettura.

Per me quindi lo schema può essere:

1. Le coordinate, accompagnate da un riferimento geografico semplice, per dare un'idea di dove siamo; poi uno stringato giudizio sulla validità del posto, e sulla qualità dell'ancoraggio-ormeggio. Se volete, le distanze in linea d'aria, ma sappiamo tutti come quando si va a vela contino quasi nulla.

2. Poi il racconto che fa da corpo centrale, lungo finché si vuole; quello che poi ti ti ricorderai e cercherai come filo-guida prima di decidere dove approdare

3. Infine cosa poter cercare a terra, se c'è qualcosa di particolare da vedere o trovare o assaggiare.

Per me va bene così


sì penso che in linea di massima il format sia questo. Solo io invertire la 2 con la 1 e lasciando mano libera all'estro personale

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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 10:53 
porto bossolo (non sapevo si chiammasse così)ci passo sempre due notti prima di andare in giù
approposito avete preso i krafen dalla vecchietta?


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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 12:08 
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Iscritto il: 29/10/2010, 17:06
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margutte ha scritto:
lazylady: non sono sicuro di avere afferrato bene tutto ciò che hai detto
immagini una pubblicazione in infernet o anche cartacea?

La possibilità di produrre un PDF penso sia l'ideale ... se lo leggi dal PC/tablet puoi usare i link presenti, se la stampi su carta te la leggi la sera, prima di andare a letto

margutte ha scritto:
ho visto la tua scheda
secondo me non dobbiamo dimenticare il luogo di partenza. Un portolano per piccoli marinai. attenzione quindi a non scopiazzare quelli già esistenti, per altro ottimi, ma privi delle notizie che servono alle pance lisce. ...
... quindi si è scelto di privilegiare l'aspetto personale, chiamalo romantico se vuoi, di un approdo. ...
... quello che secondo me manca al 777 sono quelle informazioni che invece appuntavo io a matita. Molo gratuito, acqua dolce, si mangia bene, bello per i bambini. in più il racconto del vecchio pescatore, una nota di storia locale, un episodio personale, che alla fine disegna il luogo meglio di qualunque descrizione.

Concordo in pieno ... il mio portolano era pensato per un uso nautico, avere sott'occhio su una sola pagina le info (per me) più importanti mentre navigavo per la prima volta in Croazia.
Trovavo inoltre molto utile usare le foto satellitari invece del disegno del profilo della costa ... perchè le foto, sia pur meno chiare, ti danno l'idea di cosa c'è nell'entroterra e di com'è la baia.
Quello che mancava ... e per questo i tuoi racconti o di altri MdT sono eccezionali ... è proprio la parte descrittiva, di esperienza, di vita.
Sulla cartina relativa alla baia di Dalja avevo riportato la storia incredibile dell'abazia che si affaccia sul mare (di proprietà dei Benedettini di Praglia - Padova - fino a 60 anni fa). Oppure la storia dei resti delle ville romane che si affacciano sul mare verso Barbariga ... che dalla costa vedi benissimo solo se sai che ci sono.

Tutte queste informazioni non possono trovare spazio sulla cartina ... ma la cartina potrebbe essere accompagnata da racconti ed informazioni.
Gestendo bene i link potresti passare da un punto sulla cartina ai racconti dei MdT su quel luogo ... e viceversa.
In questo modo il portolano potrebbe essere letto in due direzioni diverse ... il racconto affascinante di un viaggio localizzato su una cartina ... o una cartina con i riferimenti delle avventure di tanti MdT.

OK ... ma non voglio peccare di poca modestia ... non ho letto tutti gli interventi precedenti di questo thread ... pertanto mi prenderò del tempo per capire meglio di cosa parlavate. Scusatemi .. il mio precedente messaggio era un sobbalzo a qualcosa che avevo nel cuore e che si è infiammato alla vista di alcuni vostri commenti :P


margutte ha scritto:
un'unica condizione pongo come sine qua non. DEVE rimanere una pubblicazione per classe "straccioni". per gente che va per mare facendo i conti in tasca e non ha il dissalatore in barca


Se aprite un sottogruppo di MdT dal nome "gli straccioni" mi iscrivo subito.
Apparte il dissalatore che non ho :lol: ... il mio concetto di vacanza minimalista è tale anche dal punto di vista economico !
I più bei ricordi che porto della vacanza in Croazia sono gli spaghetti cotti per 4 in pozzetto al tramonto ... i pochi ristoranti visitati non li ricordo nemmeno più.

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Luca
Gaia - COMET 850
Lago d'Iseo - Circolo Velico Sarnico


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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 15:32 
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Ma certo.
Di ristoranti, salvo casi particolari, ne sono pieni i 777 (boh? non ce l'ho).

Con Wayra siamo andati a mangiare a terra forse quattro volte in 40 giorni di cui due con Paddy e, di queste due, una anche con Lorenzo...


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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 19:09 
adesso si pescono le seppie io direi
tagliolini col nero e zucchine un antipasto di carciofini crudi
di san erasmo una saltata di cappe come vini
andrei in contro tendenza rosso
direi un cabernet savignon metterei su vivaldi
la primavera tanto per far capire a tutti che delle rogne
sono stufo e penso solo per me :lol:


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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 20:01 
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Iscritto il: 02/09/2010, 11:06
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Località: Reggio Emilia
ivano ha scritto:
adesso si pescono le seppie io direi
tagliolini col nero e zucchine un antipasto di carciofini crudi
di san erasmo una saltata di cappe come vini
andrei in contro tendenza rosso
direi un cabernet savignon metterei su vivaldi
la primavera tanto per far capire a tutti che delle rogne
sono stufo e penso solo per me :lol:


...penso sia una delle poche volte dove mi trovo assolutamente in sintonia :? :lol: :lol:
....forse il vino...perfetto il rosso...ma forse un pelo più beverino sarebbe meglio

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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 10/04/2014, 22:24 
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Iscritto il: 16/02/2010, 15:13
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ok. allora si procede da qua e senza MP. Addormentati i pupi, preparo la grappa e ragiono sulla proposta di Joe, che secondo me è da rifilare.

pronti via. Ora si scrive :ugeek:

ogni cosa verrà postata. una volta avuta la conferma dell'autore raccolgo control c control v nella mia cartella.

una volta organizzate le schede si salpa.


joe: proprio Furio? furio? :roll:

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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 11/04/2014, 10:08 
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Furio, per l'io narrante è' solo un'idea.
Parliamone, ma intanto andiamo avanti, il nome verrà fuori, ed il titolo anche.
Fatemi qualche controproposta, escludendo i nostri nomi; escludiamo poi i nomi assolutamente comuni; escludiamo quelli esotico-stranieri (che so, William etc); cosa rimane?

- i nomi di origine barbara, franco-germanica: vogliamo scrivere una saga vichingo-nibelungica? direi di no.
- i nomi di origine biblica: Ismaele ce lo hanno già fregato, gli altri mi sanno di mormoni.
- i nomi di origine greco-latina: io caldeggio questo campo, siamo mediterranei no?
- un soprannome, tipo Buccia, ma meno coatto.


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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 11/04/2014, 10:44 
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Jocondor ha scritto:
Parliamone, ma intanto andiamo avanti, il nome verrà fuori, ed il titolo anche.




sono d'accordo

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 Oggetto del messaggio: Re: Portolano MdT
MessaggioInviato: 11/04/2014, 19:03 
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Iscritto il: 16/02/2010, 15:13
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non ho nessuna esperienza di navi da carico, del gergo o dell'organizzazione a bordo. Sono giorni che faccio ricerche. qualuno mi può dire se ho scritto cazzate? Stasera la rivedo e la completo


Silo - isola di Krk

La Saponificazione. Consiste nella formazione di adipocera, un sapone insolubile, di aspetto lardaceo e untuoso e di odore sgradevole, prodotto dalla combinazione dei grassi neutri dei tessuti con sali di calcio e di magnesio presenti nell'acqua o nel terriccio umido in cui si trova il cadavere. E' indispensabile l'assenza di aria. Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo, quindi si diffonde al tessuto adiposo periviscerale. La saponificazione si rende evidente dopo alcune settimane e si completa in 12-18 mesi.

Mi chiamo Theodoros Belesis, comandante della nave da carico Peltastis, battente bandiera Greca e questa è la mia storia.

Il sette gennaio 1968, salpiamo da Sv. Juraj, angusto porto dove abbiamo caricato legname da trasportare al porto di Rjieka. Il capitano del porto ci consegna il bollettino meteo, per nulla invitante. È in arrivo una grossa perturbazione con groppi e quel vento che da queste parti viene chiamato bora scura. Secondo il capitano è da forsennati salpare con questo tempo, soprattutto è impensabile transitare lungo il canale del Velebit, che da queste parti viene soprannominato “canale delle tempeste”. Mi spiega anche che in casi di bora particolarmente forte, come quella prevista nei prossimi giorni, lungo questo canale si verifica un fenomeno, che i locali chiamano fumarola. Non sarebbe altro che un fenomeno catabatico, per cui il vento che precipita dalle alture del Velebit, toccando l'acqua, la vaporizza e si forma un aerosol fino a qualche metro dalla superficie che impedisce di respirare. Secondo il capitano è meglio attendere in porto, a Jurievo (Sv, Juraj), o quanto meno raggiungere Rjieka costeggiando il lato occidentale dell'isola di Krk, ugualmente pericoloso, ma meno avventato. Purtroppo né l'una né l'altra soluzione sono praticabili, in quanto il carico di legname che trasportiamo deve essere a Rijeka entro domani mattina e incrociare tra le isole di Krk e Cres significherebbe allungare la rotta almeno del doppio, sconveniente in termini di tempo e di denaro. Il mio armatore non ne sarebbe contento.
Questo non l'ho detto al capitano di Senj, ma tra le altre cose ho un appuntamento con il comandante di un'altra nave greca proprio stasera a Rijeka. Non ci vediamo da mesi e non voglio mancare. In fondo sono un marinaio greco, sono ateniese. Nel sangue della mia famiglia ci sono generazioni di marinai. Io conosco le onde dell'Egeo, e la rabbia del meltemi. Imparerò a confrontarmi anche con quella della bora.
Finito di caricare 500 metri cubi di legname, salpiamo le cime, l'orologio della cabina di pilotaggio segna le 11,37. Il capitano era sulla banchina e ci guardava partire, ma non ha contraccambiato il mio cenno di saluto dalla plancia di comando. Se n'è rimasto con le braccia lungo i fianchi a guardare la Peltastis che se ne andava.

Motonave da carico, anno di costruzione 1953, cantiere D.W. Kremer Sohn, Elmshorn, lunghezza 197,5 piedi, baglio 30,7; 874 tonnellate di stazza lorda. Armatore Chr. M. Sarlis & Co. Porto di armamento Pireo.
Equipaggio: 13 uomini, compreso il comandante.
La mia è una bella nave. Il suo nome mi dà conforto e orgoglio. Peltastis: lo scudo che i fanti traci indossavano per difendersi in combattimento. Anche la mia nave è solida e più di una volta si è ben difesa a combattere contro il mare. Un comandante deve sapere prendere qualche rischio, e sia la mia nave che i 12 membri del mio equipaggio sono pronti e preparati.

Adrianos Paleologos, classe 1935 è il mio primo ufficiale. Entra in cabina di comando con l'aggiornamento del bollettino che il marconista ha appena ricevuto. Le notizie non sono buone, la bora soffia già forte, ma è previsto un rinforzo.
«Secondo te abbiamo fatto una sciocchezza?» il primo ufficiale non parla e io mi sforzo di sembrare ottimista.
«Andiamo, vedrai che stasera stessa ti porto a bere a Rijeka. Dicono che le donne di questa regione siano meravigliose. Alte, carnagione chiara, occhi celesti come il mare. Non ti sei stufato del pelo nero di casa tua?»
Adrianos sorride, ma non sembra convinto. «Ti faccio portare un caffè comandante.»
«Bravo e porta anche un po' di quel rakì che abbiamo imbarcato a Zara. Qui lo chiamano rakija, ma è buono come il nostro.»
Il cameriere si chiama Sotirios Nitsoglou. Ha 23 anni e lo imbarcato io stesso. È stato suo fratello, Christos, a chiedermi se potevo imbarcarlo con noi. Se nasci in una piccola isola della Grecia, le speranze di lavoro si riducono a due soltanto. O imbarcarsi su una nave di lungo corso e tornare a casa una volta ogni 18 mesi oppure crepare di fame a fare il pescatore. Christos naviga con me già da qualche anno e quando siamo salpati dal Pireo, anche suo fratello ha cercato di scappare alla miseria e si è imbarcato come cameriere, non ha esperienza di altro tipo e questa è l'unica mansione che può ricoprire per ora.
Sotirios, indossa il maglione sotto l'uniforme e il cappello di lana è calcato fin sopra le orecchie, anche se il regolamento non lo consentirebbe. Io però faccio finta di non vedere. È la prima volta che lascia la sua piccola isola e non si è ancora abituato al freddo del nord Adriatico. Fatica a reggersi in piedi, il vassoio con il caffè e la rakija in una mano. Con l'altra si appoggia a qualunque cosa sia a porta di mano.
«Sai nuotare ragazzo?»
«Certo signore. La mia è una famiglia di pescatori.»
«Bene, mi sa che ti servirà.»
il primo ufficiale ride, anche Sotirios sorride. La nave rolla e beccheggia, e fatica a procedere. Devo tenere le macchine a regime basso perché il mare è sempre più bianco e la prua si scontra contro onde ripide, che si fanno via via più imponenti. Soprattutto è il vento che ci fa procedere molto lentamente. Ci mettiamo quasi un'ora per raggiungere Senj e davanti a noi il canale del Velebit è bianco di spruzzi e la visibilità si è ridotta molto.
In gennaio il sole tramonta presto e tra un po' sarà buio. Temo che stasera non riuscirò a ubriacarmi a Rijeka.
Dopo un'altra ora, Adrianos Paleologos, mi raggiunge in plancia di comando. Chiedo un altro caffè, ma è impossibile prepararlo in queste condizioni. La situazione comincia a diventare critica. Le raffiche di vento hanno sorpassato i 100 km all'ora e la nave fatica a procedere e tenere la rotta. Il canale del Velebit, si chiude in cima con una strozzatura denominata Tihi Kanal e se qui la bora soffia forte, imbottigliata in quel venturi ormai deve aver raggiunto forza da uragano, tanto più che i fanali che segnalano il canale sono praticamente invisibili, a causa del buio, dell'aria satura di spruzzi e del nevischio che comincia cadere da qualche ora.
Consulto la carta e l'unica soluzione possibile è trovare riparo. Quella a dritta deve essere Cirkvenica, ma neppure lì probabilmente una nave della nostra stazza troverebbe ridosso Correggo la rotta di qualche grado a est, ma le raffiche di vento sono ormai vicine ai 150 km/h. Il Peltastis arranca con estrema difficoltà e a dispetto del suo nome non riesce a farsi scudo da questa bufera.
Abbiamo passato Cirkvenica di un paio di miglia, ma procedere oramai è impossibile. Angelos Fotiadis, il giovane macchinista, in un attimo di apertura, nel turbine della neve grida: « i fari, i fanali». Non è il porto di Cirkvenica, questo è sicuro, ma sulla dritta sembra sia comparso un ridosso, che non è sicuramente eccellente, ma per ora deve bastare, procedere è diventato impossibile. Non c'è più molto da fare. Butto il timone a dritta e ci infiliamo nella piccola baia. Non capisco bene dove siamo, ma trasmetto l'ordine di fondo alle ancore. Tutte e due. Filo 200 metri di catena, attendo per vedere se hanno agguantato e poi sembra che la nave si sia aggrappata ad un fondo che la trattiene. È fatta. La nave è investita dalle raffiche e gli spruzzi delle onde spazzano la coperta. Però l'ancora tiene e forse davvero l'abbiamo scampata bella. Tiro un'altra sorsata dalla bottiglia di rakija e tiro anche il fiato. Questa sera di sicuro non ceno a Rjieka, ma domani avrò un'altra avventura da raccontare al mio amico e alle puttane della città, sedute sulle mie ginocchia mentre bevo rakija e pancetta affumicata.
Fuori è buio, ma le due ancore e i 200 metri di catena dovrebbero permetterci di tirare almeno fino al mattino. Poi con il chiaro dell'alba vedremo cosa fare. Organizzo i turni di guardia, anche se non credo che sia necessario, perché nessuno questa notte riuscirà a dormire. Il cameriere mi porta una tazza di caffè e un'altra bottiglia di rakija . Le macchine restano accese e Angelos Fotiadis, continua a controllare che tutto sia in ordine. L'orologio della cabina di pilotaggio segna le 22,03. Improvvisamente, davanti a noi, sulla costa della terraferma, un bagliore improvviso. Un lampo, un fulmine e una pioggia di scintille, poi il buio più totale. Un palo della corrente probabilmente è stato abbattuto da una raffica più violenta e tutta la costa è rimasta al buio. Non si vedono più le luci del paese, né i fanali del porto. Siamo immersi nella pece più nera e la bufera di neve rende invisibile qualunque cosa oltre la prua della nave, dove le luci di via vibrano scosse dal vento. È come galleggiare nel nulla. Solo la schiuma del mare, bianca, lampeggia quando passa sotto i fanali accesi della nave e il turbinio della neve disegna linee e forme bizzarre nel cono di luce dell'illuminazione della coperta.
Sembrano fantasmi. Sembrano anime di marinai annegati. È quasi bello.
È impossibile stare fuori dalla cabina, la bora ha raggiunto velocità che così credevo non fosse possibile e non è solo il freddo a impedire di uscire, ma anche le raffiche di neve sul volto. Sembrano sassate e fanno sanguinare la pelle scoperta. Di sicuro Sotirios un freddo così non l'ha mai sentito. Il primo ufficiale mi raggiunge in plancia di comando. Mi ha portato qualcosa dalla mensa. Pane e acciughe sotto sale, di più è impensabile preparare. Io non sono sceso con gli altri a mangiare. Io sono il comandante. Io sono quello che ha preso la decisione di seguire questa rotta. Rimango sul ponte di comando a controllare la situazione, anche se in realtà, c'è ben poco da controllare. Mastico un'acciuga per togliere l'amaro dalla bocca e offro un altro sorso di rakija ad Adrianos e proprio mentre si accosta la gavetta alla bocca per bere, uno strattone più forte degli altri, gli fa versare tutto sull'uniforme. Questa volta non era un'onda, né una raffica più forte delle altre. Guardo l'orologio appeso sopra la porta: 23,37. Le ancore arano. È difficile capirlo, è difficile trovare un punto di riferimento per controllare la posizione, ma lo stridere delle catene e la nave che si muove a scossoni possono volere dire una cosa soltanto. Le ancore arano.
Urlo il comando alla sala macchine: motori avanti. Prima al minimo, poi mezzo, poi tutta forza. L'anemometro oramai passa i 200 km all'ora e più che una burrasca sembra una furia che scatena tutta la sua violenza sul mare e sulla Peltastis, incapace di proteggersi nonostante il suo nome. Guardo fuori dalla cabina, il mare illuminato dal fanale di mezzanave e finalmente vedo la fumarola di cui mi parlava il capitano di Senj. Non è come la descriveva il capitano. È come essere avvolti in una nube. La nave non galleggia più, ma sembra volare. Il mare è scomparso e i fanali della nave, disegnano un arcobaleno tondo nella nube che ci avvolge e che ci solleva dal mare. Leggeri, liberi. È perfino bello. Per un attimo mi fermo a guardare lo spettacolo della neve e dell'aerosol dell'acqua e mi vengono in mente le braccia del capitano di Senj, stese lungo il corpo, abbandonate, impotenti, incapaci di fermare un comandante che guida la sua nave verso l'abisso. È un attimo, ma subito mi riprendo. Macchine avanti tutta. La voce del macchinista mi arriva serena e quieta dall'interfono. Più di così non si può. Le lunghe catene continuano a vibrare sul ferro della nave e immagino le unghie delle ancore, sanguinanti, nel disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa, di trattenere la loro nave che le trascina verso l'abisso. Quelle ancore meriterebbero di essere ricordate. Bisognerebbe trovare uno posto in una piazza, dove le maestre potrebbero portare i loro bambini per mostrare loro quelle ancore, che tutto hanno cercato di fare per salvare la loro nave dalla follia del comandante, ma non c'è stato nulla da fare.
Mi scuoto ancora. Prendo la carta e cerco di ragionare. Se la bora proviene da nord est, e noi eravamo aggrappati al porto di Dramalj, allora una speranza c'è. C'è un'ultima possibilità, un atto di dio. Sulla costa di Krk, proprio sotto Dramalj, si apre un'ampia baia, il cui fondo, inferiore ai 5 metri, preclude l'entrata a navi della nostra stazza. Se per un caso, se per un volere superiore, la nostra deriva ci portasse in quella direzione, forse la nave si incaglierebbe sulla sabbia, forse, ci fermeremmo. La nave sarebbe perduta, ma quanto meno il suo equipaggio si salverebbe. Cerco di fare i conti ad occhio su quella che può essere la deriva del vento e la forza della corrente e contrasto come posso la nostra rotta alla deriva, con i motori che poco possono e le ancore che continuano a scuotere la nave, tracciando lunghi solchi sul fondo. Krk è completamente al buio e i fanali di entrata della baia di Soline sono spenti, ma tanto dubito che riuscirei ad individuarli in mezzo alla tempesta. Da quanto tempo ormai siamo alla deriva?
L'orologio segna le 3,29, quando un orrendo schianto scuote la nave, che finalmente si ferma. Angelos Fotiadis entra in cabina come fosse un ossesso. Tra il frastuono della bufera e il rombo delle macchine. Una falla, la sala macchine è quasi completamente allagata. Il mio primo mi guarda.
«Adrianos, accertati che nessun uomo rimanga a bordo, siamo appoggiati alla costa di Krk, gettatevi in acqua e cercate scampo.»
«Comandante...»
«Ufficiale Adrianos Paleologos, obbedisca agli ordini.»
il mio primo mi guarda ancora per un istante, poi si getta fuori dalla cabina, corre per la nave, raduna l'equipaggio e fa gettare tutti nell'acqua gelida di Krk. I due fratelli per primi, poi il macchinista, Angelos Fotiadis, poi tutti gli altri e per ultimo lui stesso. Prima di gettarsi si volta per un'ultima volta verso la plancia di comando. Io sono in piedi davanti al timone, oramai bloccato e immobile. Lo saluto e poi lo vedo sparire oltre la murata. Guardo ancora una volta l'orologio. Sono le 3,49 e dubito che domani potrò passeggiare per i viali di Rijeka. Tiro ancora un sorso dalla mia bottiglia di rakija. L'ultimo.
Finalmente ora tutto è silenzio. Non sento più il rantolo disperato delle macchine e neppure il lamento delle ancore trasmesso dal ferro della prua. Nemmeno la bora urla più tra le sartie e la neve non si schianta più sulla finestra del ponte di comando. Solo, al comando della mia nave, in piedi, godo finalmente del silenzio. Il silenzio degli abissi.


L'8 gennaio 1968, la motonave Peltastis naufraga sulle coste di Krk, tra la baia di Soline e il porto di Silo. La bora quella notte superò i 200 km/h, in più una bufera di neve e un black out causato dalla burrasca azzerò completamente la visibilità. Nonostante il comandante avesse gettato le ancore con oltre duecento metri di catena e le macchine cercassero di contrastare la forza della bufera, la nave andò alla deriva fino a incagliarsi sugli scogli dell'isola di Krk. L'orologio del ponte di comando rimase fermo alle 3,50. Dei 12 uomini dell'equipaggio se ne salvarono solo 4: i fratelli Sotirios e Christos Nitsoglou, di anni 25 e 28; il primo ufficiale, Adrianos Paleologus, di anni 33; il macchinista Angelos Fotiadis, di anni 23. Quasi tutti subirono amputazioni a causa di ipotermia e assideramento. I cadaveri degli altri 7 marinai furono raccolti i giorni seguenti, annegati, assiderati o schiantati sugli scogli dalla burrasca. Del comandante Theodoros Belesis nessuna traccia.
Poi durante l'estate successiva, alcuni pescatori subacquei si avvicinarono al relitto e curiosando tra le finestre delle cabine, notarono una figura umana, saponificata.
In piedi, da solo, davanti al timone, sul ponte di comando.

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