Marinai di Terraferma

Forum dei marinai carrellatori
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 Oggetto del messaggio: Tikitomtom in Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:08 
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CAPITOLO 1

Sono tre ore ormai che un generoso nord - est imbottigliato nel venturi tra le isole di Krk e Cres ci spinge verso sud. Finalmente. Abbiamo abbandonato i corpi morti davanti alla falesia dei grifoni stamattina che appena era giorno. Solo qualche peschereccio di ritorno disturbava un mare piatto come un lago e un kayak che pagaiava lento era l'unica presenza umana in un paesaggio idilliaco, lasciandosi dietro una pigra scia e una pace nel cuore di chi lo guarda. Ieri abbiamo traversato da Krk a Cres, poi il vento è scemato e nonostante il ridosso non fosse eccellente abbiamo pensato di fermarci per la notte. La meteo è dichiarata e due corpi morti, apparentemente abbandonati mi hanno convinto a passare la notte qui in completa solitudine. Ho controllato con la maschera se le cime o catene fossero buone, e sotto si perdevano in una ragnatela di relitti, tra alghe e rottami usati come zavorra. Però alla fine tengono. Durante il giorno diversi motoschifi e barconi turistici hanno rombato a tutta velocità sotto la falesia dei grifoni nella speranza di riuscire a spaventarli e farli alzare in volo, non sapendo che, questi giganteschi e pacifici rapaci in grado di veleggiare per centinaia di chilometri, in assenza di attività hanno pochissime centinaia di metri di autonomia prima di piombare sfiniti in mare e annegare. Se solo avessi una fionda. Alla sera, mentre ceniamo sul quadrato di Tomtom si alza una leggera brezza di terra che mi fa ben sperare per il giorno dopo. Infatti all'alba, mentre tutti dormono sciolgo gli ormeggi e alzo le vele senza accendere il motore per non svegliare nessuno e per gonfiarmi d'orgoglio. Partenza a vela. Come quelli veri. D'accordo la corrente spingeva in giù, quindi è bastato sciogliere la cima e la barca si è allontanata naturalmente dalla costa, ma pur sempre partenza a vela. Partiamo che non è ancora giorno per beccare un po' di brezza mattutina, unico movimento d'aria nella calma anticiclonica estiva, ma anche per evitare di cucinare il pupo che da sette mesi alberga nella pancia di Violanda e non ultimo non annoiare con ore di meravigliosa navigazione l'altra pupa di 8 anni che dopo un'ora di gioco delle parole, caccia ai delfini e lettura di Geronimo Stilton non ne può più e scenderebbe a nuoto piuttosto che sorbirsi ancora mare, mare e mare. Dopo una mezzoretta di indecisione con le vele che sbatocchiano, guadagniamo pochissimo. Forse un nodo, qualche volta due. Però ci muoviamo nella direzione giusta e la falesia è sempre più lontana, le donne dormono e io godo il mare silenzioso, le ultime stelle e il mio catamarano di cui sono unico comandante. Ne approfitto per svolgere le funzioni corporali fuori bordo (noblesse oblige) e provvedere alla toilette mattutina con la barra legata. Mentre mi sporgo a poppa con un brivido penso a ciò che accadrebbe se cadessi in acqua proprio ora e stringo di più la cima cui mi reggo. Poi la brezza finalmente si leva e si irrobustisce. 3, 4 nodi, Violanda mette fuori la testa.
- Faccio il caffè?
Magari penso, invece dico
- no dai lo faccio io che tu sei stanca e col pancione
- ma va ti sei alzato prestissimo e poi magari sbaglio a tenere la barra
Ci contavo e presto arriva il profumo confortante del caffè dallo scafo della cucina.
Stiamo andando finalmente. Mi sembra una vita che abbiamo messo la barca in acqua, e due vite da quando abbiamo cominciato a scartavetrarla, imparare a passare la resina, montare il supporto del motore, verniciarla nel prato fuori casa e ancora prima i preparativi, i patemi per un acquisto incauto proprio ora che la famiglia si ingrandisce la paranoia se riuscirò a governarla da solo. E poi quando l'abbiamo quasi affondata in cantiere, ma grazie a Joy, chi l'avrebbe mai detto, l'abbiamo scampata e i guai alla dogana con la macchina e il carrello e Pat con gli occhi rossi e le mani gonfie che guidava e Sergio che studia il sistema del picco dell'albero e come fare ad issarlo con la vela già inferita e naturalmente Violanda che ci porta le birre con una pancia gigantesca e Maya corre su e giù nuda per la spiaggia. Insomma non mi par vero, di più, mi pare una meraviglia. Abbiamo passato quasi 15 giorni ormeggiati nel porto dell'ex traghetto di Krk a completare il montaggio di Tomtom e soprattutto a fare i primi timidi tentativi, uscendo a vela per raggiungere un porto vicino, ma rientrando subito in tana. La bora, un paio di neverin e il maltempo ci hanno tenuti fermi per un bel po', ma francamente ci voleva un periodo di riposo e lunghe giornate tra sonno, libro, sonno, passeggiata, sonno sotto la tenda e sotto la pioggia. Ora però basta. siamo partiti. Rotta sud.
A dritta corre la costa di Cres, disabitata, scoscesa e selvaggia e mentre la costa di Krk a sinistra si stringe un po', anche la brezza nel tubo del venturi aumenta. I nodi diventano 5 stabili, poi 5,5, sto pensando se non sia il caso di sostituire il genoa, ma i due scafi corrono e non entra uno schizzo di acqua in barca, il timone è docile. A sei nodi la barca comincia a volare e i baffi sugli scafi sono davvero baffi degni di una barca seria. Però si muove e geme, si lamenta. Ho poco da convincermi che la barca deve fare così, che è una barca di legno e si muove, che le legature delle traverse devono permettere la torsione e che i cordini irrigiditi dal sale fanno rumore, che il picco si muove sull'albero di alluminio vuoto che fa da cassa armonica. C'è poco da fare, mi fa paura e anche Violanda si accorge che continuo ad andare a prua a controllare le legature, i nodi e i giunti delle traverse. Allora per non rovinare la bellissima mattinata mi impongo calma e tranquillità e godo di questa cavalcata sulle onde a sette nodi di lasco e mentalmente ripasso tutte le dotazioni di sicurezza apprezzando quegli euri buttati via per giubotti di salvataggio e mi convinco che le legature non possono cedere tutte insieme e che l'albero cadrebbe a prua e che comunque la barca galleggerebbe in ogni caso. E la barca lamentandosi cavalca verso sud. Intanto è emersa anche la principessa Maya che ride da matti a fare la pipì nel bugliolo e dopo colazione cominciamo con i consueti giochi: pensato-dovevive e caccia al delfino e alla barca a vela con la vela. Alle dieci abbiamo lasciato alle spalle gran parte della costa di Krk e quella di Cres si è allontanata verso ovest. Ora che la brezza sta decisamente scemando mi vien da ridere quando penso che volevo sostituire il genoa col fiocco piccolo e la barca continua a gemere, ma con una voce che è diventata è resterà per il seguito della vacanza quasi rassicurante, come quella delle navi dei pirati. Sul 777 quella che abbiamo a sinistra sembrerebbe essere Starabaska e mi sforzo di ostentare sicurezza dopo che per due volte ho confuso paesi e porti dell'isola e che Violanda mi ha sgamato a fare i calcoli delle miglia sulla carta a spanne (ebbene sì la squadretta è rimasta nella cartellina degli esercizi sulla scrivania in camera). Il vento ormai è quasi scomparso e il sole è bello alto sulle nostre teste. Orzo e punto sul porticciolo del paese, dove scippiamo un molo. Dopo qualche ora e qualche birra subdolamente fresca, Maya mi sveglia sotto l'albero della spiaggia perché disturbo i vicini di asciugamano russando e perché una sorta di ormeggiatore ci fa segno di spostare la barca per fare posto ad un barcone turistico. Meglio così. E' tempo di andare. Su le vele e via. Il sole un po' più basso dello zenith permette al genoa di fare ombra sul quadrato e la brezzolina del movimento rende piacevole la crociera anche per Violanda, sempre soffocata dal caldo e dalla bassa pressione. Io e Maya ci concediamo perfino un bagno al traino, mentre Violanda sbinocola le ville e le calette della costa sud di Krk. Passiamo lo stretto passaggio sotto la punta più meridionale dell'isola col vento in poppa e mi diverto a cercare la farfalla, non so se abbia senso con un catamarano, ma fa niente, la barca si muove e la meta è ormai vicina.
Quando scapoliamo ed entriamo nell'ampia baia di Baska gli ultimi refoli di vento cadono del tutto e dopo aver cercato un po' di qua e un po' di la mi rassegno ad accendere il motore per coprire l'ultimo paio di miglia che ci separa dal porto. Fa strano sentire il ferrame del vecchissimo FB nella pace della baia, ma siamo davvero stanchi ed entriamo finalmente nel porto, dove troviamo subito posto alla diga foranea all'estremità opposta del paese. Ormeggiamo naturalmente all'inglese e addirittura degli scalini agevolano lo sbarco e l'imbarco alla panciutissima Violanda. Trovo una fontana all'inizio del porto e riesco a fare il pieno ai serbatoi (taniche e bottiglie di plastica) di Tomtom e avanzo ancora tempo per un ultimo bagno con Maya sui frangiflutti all'imboccatura del porto dove l'acqua è straordinariamente trasparente. Una volta seduto in paese dietro ad una meritatissima Ozujiusko, osservo l'ormeggiatore dall'altra parte del porto indugiare intorno alla nostra barca deserta. Non c'è nessuno a bordo cui chiedere la tassa d'ormeggio e la strada dalla capitaneria al molo è lunga. Stasera non ci disturberà più e domattina quando tornerà a cercarci saremo già in rotta verso sud, ma questa è un'altra storia.

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 Oggetto del messaggio: Re: Tikitomtom capitolo 1. Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:15 
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Ecco un po' di foto


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Commento file: oh issa...su l'albero
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 Oggetto del messaggio: Re: Tikitomtom capitolo 1. Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:20 
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Tomtom ormeggiato a Starabaska, i daini di Grgur e L'equipaggio a spasso per Baska


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Commento file: l'equipaggio a spasso per Baska
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Commento file: maya e i daini di Grgur
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 Oggetto del messaggio: Re: Tikitomtom capitolo 1. Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:24 
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Vi prego di notare l'ombra del fotografo sul fondo del mare dal molo di Goli otok


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Commento file: angelo e Maya
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 Oggetto del messaggio: Re: Tikitomtom capitolo 1. Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:29 
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I baraccamenti e le rovine di Goli otok


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 Oggetto del messaggio: Re: Tikitomtom capitolo 1. Croazia
MessaggioInviato: 14/10/2010, 10:34 
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lasciando Goli otok


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 Oggetto del messaggio: croazia capitolo 2
MessaggioInviato: 14/10/2010, 15:00 
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CAPITOLO 2

Eccoci di nuovo a Baska. Di nuovo perché dopo la prima volta non abbiamo proseguito; è arrivato Angelo dal giro del mondo durato 18 mesi, allora siamo andati a prenderlo a Senj, la capitale della bora che si merita tutta la sua fama. Abbiamo portato Angelo a Rjieka che torna a casa dopo un viaggio lunghissimo e meraviglioso. Abbiamo passato notti intere stravaccati in quadrato mentre Angelo raccontava le navi da pesca del delta del Mecong, i mercati della carne della Cina, il canale di Panama e le ragazze giapponesi che incantano. Poi se n'è andato e anche noi abbiamo ripreso il nostro viaggio. Siamo arrivati a Baska alle undici di mattina, giusto in tempo per evitare di cucinarci sotto il sole, ma abbiamo perso un sacco di tempo perché non trovavo posto, finché non abbiamo deciso di ormeggiare provvisoriamente sotto la gru d'alaggio e concederci la zuppa di pesce più buona di tutta la vacanza nella bettola più scrausa di tutta la vacanza. Per la notte rioccupiamo il solito posto alla diga foranea all'estremità del porto e nemmeno stavolta l'ormeggiatore si fa vedere, ma la notte si alza una bora fastidiosa che ci consiglia di rimandare la partenza di qualche ora. Quando il sole e ormai bello alto l'ormeggiatore arriva per sapere che intenzioni abbiamo. Se cala il vento si parte sennò restiamo. Una notte passi, ma la seconda dobbiamo pagare, due euro al metro lineare e gentilmente ci accorcia la barca di due metri. Ma tanto non serve pagare. Verso le quattro del pomeriggio il vento sembra essere calato. Si va. Dobbiamo percorrere poche miglia per arrivare a Grgur una delle due isole prigione di Tito.
Goli e Grgur, due scogli più che due isole. Il loro nome fa ancora rabbrividire molti croati. Rappresentavano la Cayenna croata, dove venivano rinchiusi pericolosi criminali e dissidenti politici condannati ai lavori forzati. Quello che è stato un inferno spaventoso per migliaia di prigionieri fino al 1991, è ora un paradiso naturale e nautico. A Grgur c'è un molo gestito da una taverna dove si mangia male, ma che permette gratuitamente l'ormeggio. Il ridosso non è buono ed è (mal) frequentato soprattutto da megayacht. Vale una sosta per passeggiare nel bosco tra le rovine dei baraccamenti e delle celle tra daini e cervi pomellati che pascolano indisturbati e indifferenti ai pochi turisti che scattano foto. Sulla collina sopra la taverna campeggia enorme, a prova della fatica dei lavoratori forzati, una gigantesca stella e la scritta Tito, composta con i sassi sul prato. Poco più a nord un'insenatura deserta offre un ridosso senz'altro migliore dove è possibile ormeggiare vicino alla spiaggia ghiaiosa portando una cima a terra, protetti da pigri e ormai inutili bunker, in pace e soprattutto lontano dal chiasso dei megayacht e dalla poca ospitalità riservata dal gestore della taverna alle barche poco importanti. I rilievi di Krk distanti poche miglia e la trasparenza caraibica dell'acqua fanno dimenticare sicuramente, la scortesia del taverniere.
Goli otok dista un tiro di sasso. Quanto i cervi di Grgur fanno dimenticare gli orrori della prigionia, tanto le rovine del campo di prigionia e di lavoro di Goli incutono ancora angoscia. Goli otok significa isola nuda, ma l'aspro e roccioso paesaggio carsico battuto dal sole d'estate e flagellato dalla bora d'inverno è ora verde di alberi colossali piantati dagli stessi prigionieri. L'unico bar dell'isola chiude alle 6 di sera e le poche barche ancorate nel porto rimangono padrone dell'isola in compagnia dei fantasmi della storia. Alla sera in realtà, la maggior parte delle barche in visita, preferiscono il marina di Krk poco lontano e la scelta è inspiegabile. Il porto abbandonato dell'isola era pensato per ospitare navi ben più importanti delle nostre barchette da diporto. Il ridosso è a prova di uragano e i tetri caseggiati in rovina sono compensati da un paesaggio straordinario. Seduti con i piedi penzoloni sul mare in testa al molo, sembra di assistere ad un cartone animato di Nemo, mentre nugoli di castagnole e pesci di ogni tipo nuotano nell'acqua cristallina e perfettamente limpida dell'isola tra i sassi azzurri e i ricci neri.

Dentro la baia di Baska, la bora residua è decisamente smorzata dai rilievi e fatichiamo un po' ad uscire, tanto che sono tentato di accendere il motore, per non rischiare un atterraggio dopo l'effemeridi, ma appena mettiamo fuori il naso, scopriamo che il vento non è calato poi molto. Maya è sotto a leggere. Imprudentemente ho lasciato il genoa, che ora gonfio porta la barca al lasco a sei, sette, otto nodi. A nove nodi la barca non naviga più, ma sembra volare bassa sulle onde. Ho il sorriso tirato e Violanda mi chiede se è tutto normale, ma non so risponderle, troppo eccitato per essere preoccupato, mentre guardo i due scafi planare. Improvvisamente una raffica accelera Tomtom oltre i dieci nodi e di colpo solleva il passauomo dello scafo sottovento, dove compare Maya con gli occhi blu, giganteschi e spalancati. Però sorride.
- Che succede?
- Chiudi dai.
Violanda va a bloccare tutti i passauomo. Io non oso lasciare la barra. Goli otok, la nostra meta, rimane un po' sopravvento e dovrei orzare, portandomi al traverso per raggiungerla. Dò un'occhiata al gps, ancora indeciso tra nove e dieci e al canale che porta a Goli bianco di spuma.
Si cambia destinazione al volo, manteniamo un'andatura al lasco e divoriamo le 5 miglia che ci separano da Grgur in un attimo, troppo velocemente. Per un istante mi viene da pensare come diavolo farò a fermare la barca per ormeggiare e subito dopo mi vien da ridere per aver generato un pensiero del genere. Appena entriamo sottovento a Grgur anche il vento si calma e quasi conservassimo l'abbrivio della folle corsa, arriviamo lenti e ammainiamo le vele vicinissimi al moletto di Grgur spiando di sottecchi se le altre barche ci stanno guardano invidiose.
Ormeggiati vicini a due giganteschi e rumorosi megayacht, mentre Maya corre a riempire la scheda con centinaia di foto di daini e cervi il proprietario della taverna ci avvicina ed è subito chiaro il patto. Ormeggio gratuito se consumiamo da lui. Equo. E pieni di fame andiamo subito a mangiare, per ritirarci presto nel nostro miniyacht. All'imbrunire il gestore ci raggiunge per chiederci di spostare la barca in fondo al molo, in quanto in attesa di ospiti.
Certo, non è grave, ma in preda alla paranoia che non mi abbandona mai chiedo se il ridosso sia buono.
Non con la bora è la risposta.
Certo, ma stasera non ce n'è.
Come no, sta già montando, ma poco più a nord c'è un ridosso eccellente.
Panico.
Vado a piedi a controllare il ridosso, che effettivamente è molto buono, all'interno di una piccolissima insenatura coperta dal bosco, ingombra di altre barche e con pescaggi minimi. Ragiono dieci minuti su come mi dovrei comportare. All'ancora certo, portando una cima a terra, ma dove?
Torno alla barca che è già buio e cerco di ragionare. Ragiona comandante ragiona. Cosa farebbe un marinaio. Un marinaio non si farebbe certo cogliere dal maltempo incastrato ad un molo di cemento, ma un marinaio uscirebbe di notte col maltempo, una ragazza all'ottavo mese, una bimba di otto anni e un fuoribordo da 8cv? Intanto arriva l'ospite tanto atteso a bordo di uno yacht se possibile più colossale degli altri e noi ci facciamo piccoli piccoli per lasciargli posto e ci sentiamo ancora più piccoli mentre lui, a fatica si infila tra noi e le navi dei suoi amici, guardandoci male dall'alto del flyer. Con la lucidità e la freddezza necessarie in certe situazioni, prendo la decisione migliore. Organizzo l'ormeggio, allungo gli spring, porto un'ancora fissata a centro nave che mi tenga lontano dal molo. Poi tiro fuori i materassi in quadrato, prendo una birra tiepida dalla sentina e mentre aspetto la bora con Maya che monta la guardia con me, guardiamo le stelle nella chiara e limpida notte estiva.
Ho un debito di riconoscenza con il gestore della taverna. Di bora neppure un alito, in compenso ho trascorso buona parte della notte in coperta con Maya a cercare le costellazioni del nostro atlante astronomico, annusando l'aria calda e calma della notte e l'assenza completa di luci, disturbati solo dal sordo ronzio dei generatori degli yacht e dagli ultimi schiamazzi degli armatori ubriachi incapaci di salire la scaletta delle loro navi. La mattina successiva non appena si fa giorno, il gestore compare nuovamente, questa volta esasperato. Dobbiamo assolutamente lasciare l'ormeggio. Sta arrivando un'altra barca più importante della nostra, piena di ospiti sicuramente più spendaccioni di noi. Lo osservo con il caffè caldo tra le mani. Nema problema.
Ce ne andiamo volentieri. Nell'acquario di Goli otok, dove i fantasmi della storia tengono lontani i mega yacht e i tavernieri faccendieri ed imbroglioni e dove non ci può disturbare nessuno. Neppure la bora.

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 Oggetto del messaggio: Re: croazia capitolo 2
MessaggioInviato: 14/10/2010, 15:09 
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mi sa che ho caricato le foto un po' confusamente


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 Oggetto del messaggio: Re: croazia capitolo 2
MessaggioInviato: 14/10/2010, 15:14 
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..appunto


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 Oggetto del messaggio: croazia: capitolo 3
MessaggioInviato: 30/10/2010, 12:59 
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Le spiagge di Lopar, ci hanno assicurato, sono adatte soprattutto ai bambini e a chi come Violanda non sa nuotare. Il mio equipaggio minaccia l'ammutinamento se non facciamo rotta su Lopar, che oltrettutto dista poche miglia. E Lopar sia.
Lopar è un promontorio che come un cavolfiore si apre a nord dell'isola di Rab, celando decine di insenature meravigliose e ampissime baie sabbiose. La particolarità delle numerose spiagge di questa penisola è la poca profondità dell'acqua, fino a diverse centinaia di metri dalla costa. Non bisogna però pensare al brodo primordiale stile Jesolo o Bibione, tutt'altro. In pratica l'isola poggia su un blocco di arenaria, che dona all'acqua poco profonda l'azzurro limpido di una piscina e arrivando dal largo, il brusco cambiamento di colore denuncia chiaramente il fondo che sale rapidamente, fino a un metro di profondità. Si aggiunga che anche la temperatura dell'acqua subisce lo stesso cambiamento, passando da quella normale del mare a un orgasmo caldo e rilassante. Insomma per bimbi e per chi non sa nuotare è un paradiso, ma piacevole anche per tutti gli altri. Tolto San Marino, l'unico affollato porto turistico della penisola, esiste un solo ridosso buono in caso di bora, proprio nell'ampia baia dove ormeggia il traghetto in arrivo da Krk. Tuttavia ogni altra insenatura della penisola merita una visita per la sua straordinaria peculiarità e se la meteo non è favorevole, le altre spiagge sono raggiungibili anche in poche decine di minuti a piedi attraverso una fitta e ombrosa pineta.

Stiamo risalendo lungo la costa di Rab da diverse ore sfruttando una debolissima brezza che ci fa guadagnare poco poco alla volta. Ieri sera abbiamo dormito in rada nell'ampio golfo che si apre sotto la città eponima dell'isola. E' la prima volta che non troviamo posto in banchina in un paese, ma Rab è un po' più di un paese. Rab non è solo la "capitale" dell'isola, di più, è una turrita fortezza veneziana elegantissima, bella e modaiola. Già da lontano l'entrata dell'angusto porto, protetto dalle mura della città, assomiglia ad un alveare con sciami di barche che entrano ed escono, interpretando in modo del tutto personale le precedenze e le rotte degli altri. Molti sono i taxiboat, che vanno e vengono dalle spiagge vicine, molti sono i barchini, ma si notano soprattutto barche di un certo livello con eleganti pupe discinte a prendere il sole sul ponte. La banchina è anche lo struscio della città e i posti sono riservati a barche più importanti e più chic della nostra e quando ci avviciniamo a qualche posto libero, ci fanno capire che non è il posto giusto per i "cigani" del mare.
Abbiamo faticato parecchio per arrivare a Rab. Stiamo gironzolando tra le isole da un bel po' di giorni e rispetto agli anni scorsi abbiamo registrato un notevole aumento dei prezzi, soprattutto per quello che riguarda la verdura. Probabilmente la Croazia si sta preparando ad entrare in Europa e comincia ad uniformare i prezzi oppure, senza azzardare inutili analisi economiche, i commercianti, in alta stagione se ne approfittano e raddoppiano i prezzi nei luoghi di villeggiatura. Ecco perché abbiamo deciso di provare a fare un po' di spesa sulla terraferma, tanto più che anche la benzina non è facilmente reperibile sulle isole e già una volta abbiamo dovuto chiedere a un taxi boat che ci vendesse 5 litri di benzina. Esistono due villaggi che si affacciano sul canale tra l'isola di Rab e la terra ferma. Lasciata Goli otok puntiamo decisi a motore verso quello più settentrionale, perché vento non ce n'è e Violanda non mi perdonerebbe un'altra volta a ciondolare su un mare di piombo in attesa del vento. Appena ormeggiati, chiediamo ad un simpatico signore che ci ha preso le cime dove possiamo trovare un benzinaio.
- Nista
allora un market
- Nista
allora un panificio
- Nista
un bar, un cazzo di bar.
- Nista, nista
Non c'è nista nel paese, ma nista nista. Riusciamo a scroccare almeno l'acqua per riempire i serbatoi (taniche e bottiglie di plastica) con una gomma che il simpatico signore ci porta fuori, direttamente da casa.
Nel paese poche miglia più a sud la scena si ripete identica, tranne per l'acqua che sgorga copiosa da una fontana sotto un platano. Nemmeno un bar dove bere un caffè. Le alternative si riducono ad una soltanto.
Issiamo le vele e ci rassegniamo a scendere lungo la costa e cercare fortuna altrove. Contro vento.
Ci è andata bene finora e quindi oggi non ci si può lamentare. Oggi bolina.
Adoro i multiscafi. Non farei mai cambio con una banale barca. Sul nostro Tiki possiamo stare stravaccati in lungo e in largo nel quadrato centrale oppure prendere il sole sui trampolini, a poppa o a prua, addirittura ballare il valzer sotto la randa. Mi piace da matti arrivare in spiaggia, appoggiare la pancia sulla sabbia e scendere a piedi, bagnandosi al massimo i polpacci e posso sfiorare le coste infischiandomene dei bassi fondali. Quando appoggio una birra sulla tuga mentre timono, lì rimane e non mi viene la scogliosi per cercare di stare dritto quando la barca è completamente sbandata. Mi muovo con un filo di vento e non devo portarmi dietro quintali di peso inutile per tenere dritta la barca.
C'è solo un motivo che mi fa invidiare e desiderare una barca monocarena. Ed è oggi.
Scendiamo come una palla di biliardo a sponde tra Rab e la terraferma, ma ad ogni bordo considero con malinconia i pochi metri guadagnati. Solo più tardi avrei imparato ad usare il carrello della randa e a bilanciare le vele per rendere la bolina più efficiente. Oggi l'unica consolazione è che il vento contrario rinfresca l'ambiente e il genoa proietta una bella ombra sul quadrato, tanto da permettere a Violanda, solitamente boccheggiante a quest'ora, di scendere nello scafo della cucina e preparare un'ottima zuppa di fagioli e Kobasica. Abbiamo raggiunto Pag al limite dell'effemeridi. Rab è a poche miglia e ce la prendiamo comoda poi finalmente su verso Lopar, prestissimo alla mattina, in un mare che sembra un lago, e le isole lontane che si specchiano sul miraggio dell'acqua tremolante, mi ricordano le montagne di casa.

Sfoglio le pagine del 777, ormai ridotto a uno straccio. Non esiste una logica precisa seguendo la rotta che abbiamo tracciato tra le isole come la pallina di un flipper. Solo quella del girovagare, spinti dalla necessità della meteo e dalla volubilità del desiderio. Sfoglio le pagine del 777 e traccio rotte con gli occhi verso sud, verso Olib, verso le Kornati, Dugi Otok, Dubrovnik, le bocche di Cataro, le coste dell'Albania che immagino meravigliose e vergini. Poi giù, fino alla Grecia e alle isole che abbiamo conosciuto con la Waka, ancora Creta, il nord Africa. Navigo più con la testa che con la barca. Guardo a sud, la rotta logica per seguire col timone la scia dei miei pensieri. Poggia comandante, poggia, lasciati portare dal vento. Tutto ciò che ti serve, stavolta è con te. Poggia. E' più di un mese che giriamo. Stanchi certo, ma non ancora sazi e quella rotta a sud ci attira come un gorgo dentro il suo vortice. Pochi giorni, solo pochi giorni e potremmo riposarci sulle coste della Siria.
Maya è sotto e dorme ancora, la scia dietro di noi si allontana piano, piano. Tutto è silenzio. Il sole minaccia di rovinare questo incanto tra pochi minuti. Guardo la pancia di Violanda e penso alla casa da ristrutturare per il nuovo arrivato, alla barca che bisognerà smontare e sistemare, a settembre che chissà se lavorerò e alle bolle che lasciamo pigre dietro di noi e alla mi mano sulla barra, così vicina alla rotta che ho appena disegnato con la mente. Intanto si avvicina il capo più orientale di Rab. Lo lascio scadere sopravento. Solo qualche peschereccio si muove, lontano, nell'acqua che sembra piombo. I primi raggi di sole ormai rompono quel momento irripetibile che non è né notte né giorno. Dove viviamo noi, si raccontano tante leggende che spiegano i colori magici delle montagne, all'alba e al tramonto, l'"enrosadira". Aspetto ancora qualche istante poi di scatto dò il comando per Violanda, che mi guarda stupita per quel gesto improvviso:
- viro.
Orzo deciso e la prua lenta, lenta si allontana dall'orizzonte pulito e scade verso nord. Il fiocco un po' al collo, giusto per essere sicuri di aver virato, lascio poggiare un pelo, solo per prendere l'abbrivio, poi correggo e sistemo la rotta. Su verso Lopar e poi verso casa, tutto il resto è rimasto nella pigra scia delle bolle, dietro la poppa.

Maya si è alzata ed è decisamente una mattina no. Lo si capisce sempre dalla faccia che fa appena mette il muso fuori dalla sua cabina e oggi è decisamente no. Giochiamo un po', legge, ma la mattina è decisamente no. Che sia metereopatica? Anche la mattina sembra non partire, il vento non si alza, il mare non si muove e nei prossimi giorni è prevista bora. Violanda legge e nessuno parla. Improvvisamente sento un soffio e scruto il mare tutto uguale, certo di aver sentito ciò che ho sentito e finalmente lontano, ma non abbastanza per non farsi vedere, la pinna di un delfino. Chiamo Maya, le indico la direzione dove ho visto l'animale, ma niente, quando la pinna esce, lei guarda sempre da un'altra parte. Provo anche ad accendere il motore. Mi è stato detto che i delfini vengono attirati dalle vibrazioni del motore, ma niente, il bastardo mammifero marino che dovrebbe essere amico degli uomini si perde nel mare lontano dalla barca e questo non fa che peggiorare la situazione. Spero lo scambino per un tonno. Tutti nervosi stamattina, tanto più che col passare delle ore, il mare si riempie sempre di più di schifosi motoschifi e motoschifini. Sembrano vespe che tutte insieme si alzano in volo, uscendo da ogni buco della costa. Si aggiunga che la nostra barca assomiglia ad un catamarano dell'Ikea, tutto disegnato con polpi giganti, cicogne e balene e in molti si avvicinano per vedere se non sia una barca del circo. Risultato, la brezza rimane debolissima, ma il mare tutto attorno sembra in burrasca e le vele sbatacchiano di qua e di là facendo perdere la rotta. Ecco un altro buon motivo per cui partiamo prestissimo la mattina. Dopo le nove il mare è inquinato da centinaia di teppisti a bordo di qualunque cosa galleggi e più è rumorosa e più è veloce e meglio è. Tutto questo non migliora certo il nostro umore e i gestacci rivolti sgarbatamente agli acquascooter o ai bayliner che passano troppo vicini, sono al contrario spesso interpretati come gesti di saluto. Si avvicina agosto non è più un buon periodo per andare a spasso. Forse è davvero venuto il momento di tornare a casa. Alla malora. Scaravento giù la randa, e la piego male, quando ammaino il genoa dimentico di togliere le scotte e questo mi fa incazzare ancora di più. Violanda mi fa notare che secondo lei, le manovre andrebbero sempre effettuate con il massimo della calma e mi manda in bestia. Urlo male parole al gommone tedesco che ci sfiora sottovento, mentre sradico il cordino di avviamento del FB. A motore le cose non migliorano di molto, perché il moto ondoso causato dalle numerose barche, manda in gavitazione l'elica e rispondo male anche a Maya che si rifugia sottocoperta. Ci avviciniamo lenti alla meta e capita spesso di dover abbassare i giri del motore per evitare che si bruci, uscendo dalle creste delle onde. Nessuno parla più e l'espressione di Violanda è come una maschera di cera. Finalmente entriamo nella baia di Lopar e riconosco la netta differenza di fondo, da una linea che demarca precisamente il blu dell'acqua profonda dal celeste della sabbia, già a qualche centinaia di metri dalla costa. Solo che come tagliamo la linea di demarcazione, il fondo è decisamente vicino. Porcoporco, tanto vicino, sarebbe proprio la mattina giusta per far danni sotto. Spengo il motore già al minimo e sollevo il piede, controllando con un po' di ansia il poco abbrivio della barca finché non si ferma. Poi scendo nell'acqua calda che mi arriva sì e no alla vita. Prendo la cima a prua e sorpreso, tanto quanto la gente a riva che ci guarda, trascino la barca come fosse un asino, pardon, un cavallo da corsa, fin sotto la passeggiata, che all'ombra dei pini, costeggia la piccola baia vicino al molo del traghetto. Quando sono sufficientemente vicino a costa, mi faccio passare l'ancora da Violanda e la porto, passeggiando, lontano quanto la prudenza marinara consiglia: almeno 5 volte il fondo. Voglio stare tranquillo ed esagero. La porto a dieci metri di distanza. E' la prima volta in vita mia che mi capita una cosa simile e tutti i fastidi e gli affanni di qualche minuto prima sono magicamente annegati nell'acqua turchese e limpida di Lopar. In un attimo anche Maya è in acqua e con Violanda, all'inizio titubante, andiamo a passeggio intorno alla baia con l'acqua calda che sfiora il pancione. Siamo rimasti 5 giorni a Lopar, tappati lì dalla bora. Unico disturbo, la bassa marea, che alle 4 di mattina qualche volta ci appoggiava sul fondo sabbioso, svegliando l'equipaggio. Non l'unico in realtà, ma di questo sgradevole incontro parlerò più avanti nelle considerazioni sulla Croazia per non rovinare il ricordo di queste righe. Alla mattina andavamo sotto gli alberi del lungomare usando Fufi, il tenderino di Maya, per non bagnare asciugamani e vestiti e le ore calde della giornata trascorrevano all'ombra dei pini, in compagnia di vecchi e famigliole. Qualche birra fredda al bar del porto e poi passeggiate nell'acqua tiepida. Il terzo giorno mi pare di stare in una gabbia e quando sento il colpo leggero della chiglia sul fondo, esco che non è ancora giorno e mi siedo sulla mia tuga a contemplare la cima dell'ancora. Come una biscia arrotolata sul fondo, raggiunge inutilmente l'ancora bianca, appoggiata poco distante. Mi guardo ancora un po' attorno e poi la raccolgo. La barca rimane immobile in equilibrio sull'acqua ferma, nell'aria calma. Mi secca un po' infrangere la magia della notte, ma tiro deciso l'avviamento del FB , che dopo qualche indecisione si risolve a partire. Il nostro Yamaha è classe 1972 e provo qualche brivido ogni volta che lo metto in moto, soprattutto quando penso a chi lo ha messo apposto all'inizio della vacanza, ma finora in realtà, le preoccupazioni sono sempre state smentite da un funzionamento ineccepibile. Ci avviamo a bassi giri verso un'altra spiaggia della penisola. Nessuno sembra essersi accorto della nostra partenza, neppure l'equipaggio che continua a dormire negli scafi. Usciti dalla baia di Lopar il moto ondoso in realtà si fa sentire e l'aria è strana, cupa, inquieta. L'alba fatica ad arrivare dalle alture coperte del Velebit, ma probabilmente sono io che ho sonno. Smotoriamo per mezzora, forse 45 minuti, e qualche ampia baia si apre a dritta, sono tutte molto belle, ma per pigrizia non ho voglia di fermare il nostro fatale andare. Il motore fa un confine, noi siamo dentro, tutto il resto è fuori e non me la sento di spezzare questo equilibrio. Costeggiamo ancora un po', ma presto dovrò prendere una decisione. Tra non molto concluderemo il periplo di Lopar e arriveremo a San Marino, chiassosa e affollata località turistica e non è certo quella la nostra meta. La prossima baia che si apre, sarà la nostra, accosto ed entro nella grande rada della spiaggia chiamata Sahara. Abbasso i giri del motore ed entro lento. Superiamo qualche barca, confusamente all'ancora all'ingresso e ci addentriamo nell'acqua, tornata ad essere calma come uno stagno, ma trasparente come una piscina. I giochi del mare, sulla sabbia del fondo , sono perfettamente visibili e lascio scivolare la barca, indeciso sul da farsi. Spengo il motore e tutto è di nuovo silenzioso, quieto. L'acqua mi arriva al ginocchio e trascino la barca fino a quando lo skeg non si incastra nella sabbia, ad una decina di metri dal fondo della baia e lì la lascio. A bordo nessun segno di vita, allora tutto nudo, vado ad esplorare la lunghissima spiaggia, alle spalle della quale, una sorta di macchia di cespugli e alberi crea un ambiente strano e affascinante, tra piccole dune e pozze di acqua dolce. Qualche uccello fa l'equilibrista specchiandosi nell'acqua ferma del bagnasciuga. C'è una specie di roccia che si bagna appena e lì gioco con granchi e pesciolini incastrati nelle pozze dalla bassa marea. Ungaretti diceva che era in pace solo quando si sentiva fibra dell'universo. D'annunzio raccontava il suo corpo che diventava meriggio assolato. Eccola la poesia, questo è il senso di quelle parole. Dalla parte opposta della baia il catamarano appollaiato sulle chiglie nude fuori dall'acqua, sembra prendere parte a quello specchio di paradiso, unica presenza umana nel Sahara.
A bordo c'è finalmente movimento e mi incammino verso la barca.
Noto movimento anche sulla spiaggia, nella risacca, prima del tutto assente. E un'onda. Piccola. Ma nervosa. Strana.
Sono un idiota. Sono un vero idiota. Il mare confuso stamattina, il Velebit coperto, l'aria strana. Sono un idiota.
Corro alla barca che le piccole onde cominciano a far battere sul fondo. Le altre barche alla fonda sono ora ordinate verso est, verso l'entrata della baia, verso la bora. Tutta la poesia e la calma di prima sono finite, ora tutto è concitato e ansioso. Allora dai, ormai l'hai fatta e ti sei andato a infilare in una baia completamente esposta alla bora, complimenti marinaio, però ora ragioniamo, come cavarsela, conviene alare la barca in spiaggia o allontanarsi e filare l'ancora lunga lunga? Ho i rulli d'alaggio gonfiabili e costruire un paranco con l'ancora, per tonneggiare la barca sulla spiaggia è un attimo, però non conosco la baia e sebbene non possa esserci fetch ho paura che i frangenti arrivino a intrappolarci definitivamente. No, meglio conservare una via di fuga. Dal fondo del gavone recupero la lunga corda da roccia che uso come cima per l'ancora, a mio parere molto migliore delle cime nautiche, perché molto più dinamica e soprattutto economica. Porto l'ancora lontano quanto la metà della corda lo consente, poi sfruttando la leva favorevole della carrucola mobile, tonneggio la barca lontano dalla spiaggia, contro il vento che ormai si è alzato in tutta la sua forza. Ripeto l'operazione un paio di volte fino ad ottenere almeno un metro e mezzo di fondo, quindi filo tutti i sessanta metri di corda, mi accerto della presa dell'ancora nella sabbia, salgo a bordo con Violanda e con il caffè caldo in mano, aspetto a vedere ciò che accade. Il metodo sicuramente non è consono, ma io non sono un marinaio e comunque sembra funzionare. Le altre barche hanno raccolto i loro stracci e hanno fatto rotta verso lidi più sicuri. Rimaniamo soli al centro della baia. Noi e la bora, che spazza l'acqua sollevando spruzzi e increspando la superficie, prima piatta come uno specchio. Non posso certo tirare su il tendalino, ma il sole non scotta e il vento anzi consiglia di vestirsi. I minuti passano e la corda viene messa in tensione sempre di più, "rimbalzando" sull'ancora, ma noi non ci spostiamo di un metro e anche Violanda si rasserena. Anche se molto forte, questa non è la vera bora, ma la "mala bura", come la chiamano qui, il "borino". E' in pratica un episodio di vento locale ristretto a poche ore, normalmente alla sera o alla mattina presto, causata dalla caduta catabatica dal Velebit. Nel Quarnaro ciononostante, tutto è molto forte, gli episodi di mal tempo, la bora, il neverin, i paesaggi, i colori, le sensazioni. Alle undici tutto è passato, ma per poco. Cessata la burianata, la baia comincia a riempirsi di barche di ogni tipo provenienti dalla vicina San Marino. Prima uno yacht a motore getta l'ancora sopra la nostra, rischiando di venirci addosso, allora per non litigare recupero la cima e mi sposto, ma dove? Appena troviamo posto, tre piccoli semicabinati tedeschi si uniscono uno all'altro, accendono la radio e, lo giuro, mettono il salvagente al cane per fargli fare il bagno. Troppo. Scendo e tiro la barca verso un'estremità della spiaggia dove un nudista, mi si para davanti, con le mani alzate e l'uccello al vento, parlandomi in tedesco, come se fosse scontato che noi dobbiamo capire il tedesco, intimandoci di allontanarci perché occupiamo lo spazio dove i suoi bambini devono giocare. Non ho voglia di questionare, tanto più che il caldo comincia ad essere insopportabile e noi dobbiamo trovare ombra. Il livello massimo di sopportazione lo raggiungiamo quando, da una barca francese scendono due bambini a bordo di un micro gommone con un micro motore. Incredibile come un motore così piccolo possa fare tanto chiasso e tanta puzza. Non senza brivido accendo il motore anch'io e faccio rotta su Lopar e sull'ombra dei suoi pini. Il viaggio sembra eterno. Violanda boccheggia, siamo circondati da barche a motore di ogni tipo, perfino da lance che trainano paracadute e il nostro vecchio due tempi per qualche minuto si rifiuta di pisciare acqua, ma alla fine riesco a ormeggiare al molo del traghetto di Lopar e scaricare il mio equipaggio all'ombra, chi di un gelato, chi di una birra.

L'ufficiale del traghetto ci ha comunicato le previsioni: bora per tre giorni, forte abbastanza da far saltare qualche corsa del ferry e soprattutto "too much for you" reputando il nostro Tiki poco più che una deriva. Capita spesso che commenti sprezzanti sulle dimensioni della nostra barca o sulla potenza del nostro motore, lascino intendere ciò che la gente reputa la sicurezza in mare.
Ci nascondiamo buoni buoni dietro il molo del traghetto, protetti, sicuri e contenti. Tiro un paio di lunghi spring e a quel punto può arrivare anche un uragano per quel che ci riguarda. Ho sempre la sensazione di esagerare quando organizzo l'ormeggio, ma tengo a sottolinearlo, non sono un marinaio vero e così sono sicuro di dormire sonni tranquilli, tanto che alla sera, possiamo permetterci di allontanarci e prendere il trenino (un trattore che trascina carri colorati) che ci porta a San Marino, dove possiamo fare un po' di spesa e portare Maya alle giostre. In capitaneria, l'ufficiale mi caccia in malo modo, perché entro nell'ufficio a chiedere informazioni sul tempo, in pantaloncini corti e maglietta - assolutamente puliti -. Secondo lui nell'ufficio bisogna entrare vestiti bene, come quei signori degli yacht ormeggiati al vicino marina, probabilmente gli stessi che hanno buttato l'ancora sopra la nostra o che girano per il mare su barchini troppo simili ad automobili, sia per struttura che per mentalità. Non sono solo io a non essere un vero marinaio. Ci rimango molto male, tanto più che sono sempre molto attento, perché conosco l'atteggiamento odioso dei barbari che invadono una località turistica dimenticando che una località turistica è un paese e non un giro in giostra. Conosco il fastidio dovuto ai vacanzieri vocianti che entrano nei bar a torso nudo e lasciano immondizie dappertutto, dimenticando in ferie ogni forma di buona educazione, trattando gli autoctoni come merce della giostra e mi viene da pensare alla cultura marina, tanto simile a quella della montagna e tanto lontana dalla mia geografia. Penso al megayacht, che ci ha sollevato onda mentre issavamo le vele fuori dal porto di Baska, l'unico ad aver compreso di averci creato disagio e l'unico ad aver alzato una mano in segno di scusa, anche se diversamente non avrebbe potuto fare. Penso anche a Violanda a prua con il mezzomarinaio in evidente stato interessante e nessuno degli equipaggi in banchina che si offre per prendere le cime. Penso anche agli acquascooter che sfrecciano davanti alla spiaggia, ai motoscafi che entrano in porto in planata, facendo battere le barche ormeggiate sul molo e a quelli che ti passano a dieci metri di distanza alzando uno tsunami. Pazienza, io torno alla nostra barca, lui rimane nel suo ufficio ordinato.
La bora si alza e noi restiamo tranquilli a guardare i cavalloni bianchi fuori dalla baia di Lopar. Al terzo giorno non resistiamo più. Come gli zingari veri soffriamo di dromomania e un posto per quanto bello ci diventa stretto dopo pochi giorni. Anche se le previsioni non promettono nulla di buono, il vento sembra mollare e all'alba salpiamo le cime. Appena mettiamo il naso fuori dalla baia il vento ci investe, non violento in realtà, ma il mare al traverso è formato. Riduco una mano, poi due, ma Violanda è tesa e non si sta divertendo. Ci separano poche miglia da Krk e avanziamo a fatica di bolina contro un mare spumeggiante. Perché soffrire e lottare quando domani, con condizioni favorevoli, potrebbe essere una passeggiata di salute? Poggio, mi metto al lasco e rientro a cuccia dentro la baia, però stavolta ci lasciamo spingere fino alla fine, dentro il culdesac, fin dove la profondità lo consente. Sbarchiamo e ci rifugiamo sotto i salici nel prato a lato della spiaggia. Lì ne approfittiamo per fare il bucato. Portiamo Fufi fuori dai bagni pubblici, svito il tubo di carico dello sciacquone per innondare il canotto, con la gomma dell'acqua della barca e lì laviamo gli indumenti. Dopo il risciacquo, rimetto tutto apposto come l'avevamo trovato e a noi non resta che stendere la roba. In fondo zingari lo siamo veramente
il giorno dopo è finalmente giunto il momento di lasciare definitivamente Rab. Saliamo fino a Krk, in buona parte anche a motore perché oramai non è più tempo di stare a spasso. Bisogna tornare, ma questa è un'altra storia.

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