Caro Piero....... ho perso mio padre nel 98, dopo tre anni di malattia per un carcinoma al polmone, al termine dekl mio percorso universitario per diventare infermiere. Quando lo abbiamo calato nella terra ho sepolto, con lui, una parte di me e ho capito sulla mia pelle quello che si dice in merito a morire anche un po' noi, quando ci si separa da chi si ama. Nn avevo potuto, dopo una ralazione tra me e lui sempre molto controversa, di pancia, viscerale, fargli vedere che anche io, a discapito dei miei trascorsi, ero riuscito a trovare una strada, a realizzarmi a mettere su una famiglia. Questa mia famiglia ha dovuto sopportare negli anni il mio strazio nel nn poterlo avere più accanto e per anni, loro, hanno avuto un babbo e un marito sempre nervoso, incazzato e con la testa persa in pensieri propri, dei quali nn avevo voglia di parlare. Nn avevo potuto fargli vedere che anch'io valevo qualcosa!! ......e quanto era, per me, importante il suo giudizio. La vela, che praticavamo insieme all'isola d'elba, leticando anche lì!!, era diventata per me un anelito agognato e n praticabile, quindi anche qui insoddisfatto, per cercare, nei miei pensieri, di ritrovare la sua voce il suo contatto. Forse per questo ho sempre concepito l'andare in barca come una cosa molto intima, da fare, possibilmente in solitario. Il mio lavoro, poi, prima in reparto, poi in sala operatoria, era diventata un'altra fonte di stress, nella quale rivivevo le sue sofferenze di paziente. Il risultato di tutti questi disequilibri sono sfociati in attacchi di ansia, che nn ho mai curato e soprattutto in una tachicardia e un'ipertensione su base adrenergica ( legata all'emotività mia personale di quel periodo e scatenata dalle problematiche insite nel lavoro che facevo) con conseguente somministrazione di adeguata terapia antiipertensiva. Il mio percorso di vita ha fatto sì, che con gli anni abbia elaborato questo disagio e fortunatamente nn prendo più niente, essendo il quadro clinico rientrato nella norma e porto con me alcune convinzioni: è molto vero, io ritengo, quello che margutte ti dice che nn si scappa neanche in barca....si può stare da soli tutto il tempo ma se ci si sente inadeguati, quando si scende a terra, dovremo riaffrontare sempre e comunque le nostre paure. La barca ha il grandissimo pregio di riportare tutto ad una dimensione più accettabile perchè il dover sottostare alle regole del vento permette di mollare, almeno per un po' i ritmi frenetici che noi tutti, al giorno d'oggi, viviamo. Io credo che quello che mi ha permesso di ritrovare la serenità, che sto faticosamente riconquistando sia stata la paziente vicinanza di mia moglie e la presenza costante dei miei figli. Sono loro la mia unica ragione di vita e adesso, dopo quella dolorosa parentesi, a loro devo tutte le mie attenzioni; tutto il resto è un di più e sicuramente un contorno del quale posso fare a meno o accettare, con distacco le beghe che esso comporta. L'importante è vedere il sorriso dei tuoi figli e sapere che tu fai, quotidianemente, tutto per loro. All'epoca il mio più grande senso di colpa era legato al fatto di dare loro un padre inadeguato, che nn li facesse ridere o che nn avesse tempo per loro. Oggi anche se nn riesco ad uscire in barca o a costruire sto benedetto kayak...va tutto bene,...... lo stesso!!! Sorridi e godi della presenza della tua famiglia Ti abbraccio Giovanni
_________________ "Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene"
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